Viaggiando nella Hall Of Fame: Attilio Ferraris IV, il capitano che nascose Bruno Buozzi dai nazifascisti

Pagine Romaniste (F. Belli) – Gli inglesi avevano George Best, gli argentini Maradona, i romani Attilio Ferraris IV. Del resto Norman Mailer diceva che il genio è riuscire a stare in equilibrio sul bordo dell’impossibile. Quella del primo capitano della storia della Roma è una vita fatta di vizi e sregolatezze: dalle sigarette alle corse dei cavalli, ai mille amori vissuti tra le notti oscure della Città Eterna. “IV” perché quarto a giocare a calcio dopo i fratelli, tutti più scarsi di lui. Muove i primi passi nella Fortitudo e quando nasce la Roma nel 1927 con la fusione della sua società col Roman e l’Alba ne diventa immediatamente capitano. Il primo capitano della storia giallorossa. Non può essere altrimenti: è il più forte e carismatico delle società che hanno partecipato alla fusione. Non a caso è celebrato anche dalla canzone di Campo Testaccio“Poi ce sta Ferraris a mediano, bravo nazionale e capitano”. Tra i mille aneddoti che lo vedono protagonista nella Roma degli albori, il più simbolico è quello del giuramento: prima di ogni gara riuniva i compagni in cerchio e urlava: “Dalla lotta chi desiste fa una fine molto triste; chi desiste dalla lotta è un gran  ****** (il resto come si suol dire è fatto noto). Così lo descrive dopo il ritiro Ettore Berra, compianto giornalista sportivo piemontese: Ferraris aveva la dote di servire lungo. Si teneva in posizione arretrata e serviva l’attacco con lunghi traversoni che spaziavano il gioco offrendo spunti di offensiva senza peraltro scoprire la difesa”. Erano ricorrenti le sue bravate e le notti bianche che l’hanno portato più volte in collisione col presidente di allora, Renato Sacerdoti. Era un rapporto conflittuale il loro, alla “Odi et Amo”. Più volte il vaso della pazienza del patron è stato sul punto di traboccare, e l’11 marzo del 1934 la misura fu colma. I giallorossi, in vantaggio 3-0 al derby, si fanno rimontare sul 3-3 dopo l’ennesima notte brava e i due litigano furiosamente. Al capitano viene tolta la fascia e viene messo fuori squadra, così decide di lasciare la Roma. E’ un ultra trentenne e ormai il meglio della carriera sembra alle spalle.

La vittoria del Mondiale, il tradimento e perdono, il rifugio a Bruno Buozzi

E invece no. Il ct della Nazionale Vittorio Pozzo lo raccatta in una sala da biliardo a Via Cola di Rienzo e lo convince a rimettersi in forma per un po’ per recuperare in vista del Mondiale del ’34. Attilio si rimette in carreggiata e si presenta in formissima al ritiro, diventando in breve uno dei pilastri fondamentali per l’Italia campione del mondo a fine torneo. Poco dopo diventa anche un leone. A Highbury va in scena un’amichevole contro l’Inghilterra e gli azzurri sono sfavoriti. Sembra strano che la Nazionale campione del Mondo non abbia i favori del pronostico, ma gli inglesi, i maestri indiscussi, avevano snobbato la competizione per un mal riposto senso di superiorità. Del resto il calcio l’hanno creato loro. Dopo appena dodici minuti l’Albione è in vantaggio di tre gol e di un uomo. Tutto fa pensare a una disfatta storica e invece gli azzurri, trainati da Attilio che poi verrà nominato migliore in campo, accorciano le distanze con una doppietta di Meazza che sul finale prende anche una traversa. La stampa britannica celebrerà quella squadra come i “leoni di Highbury”. A livello di club le cose vanno peggio: con la ferita dell’addio ancora aperta decide per rivalsa di andare alla Lazio. Al primo derby a Testaccio i tifosi gli urlano di tutto: “Venduto, venduto!”, e altre cose indicibili e decisamente meno gentili. La sua avventura con i cugini dura poco però e qualche anno dopo torna alla Roma, disputando con i giallorossi la sua ultima stagione nel calcio che conta. Del resto non c’è vero tradimento senza perdono, e il tempo cura tutte le ferite. Morirà giovanissimo d’infarto mentre stava giocando una partita tra amici a MontecatiniTestimoni confermano che prima della gara abbia quasi profetizzato: “Non me fate fa la fine de Caligaris”, il terzino della Juventus morto pochi anni prima in campo. Ma visto che oggi è il 25 aprile, giorno della Liberazione dal nazifascismo, è importante anche ricordare un gesto eroico del primo capitano della storia della Roma. Dopo l’armistizio del ’43 ospita in casa sua ai Parioli un certo Mario Alberti, un signor nessuno visto che è un’identità falsa. In realtà è Bruno Buozzi, il “padre del sindacato”, ex deputato socialista inviso al regime Fascista già da molti anni. E’ uno degli obiettivi primari degli invasori, non a caso sarà ucciso comunque qualche mese dopo sulla Cassia. Per diventare un eroe non serve un’arma, ma grande cuore e coraggio. E Attilio ne aveva da vendere. Pagine Romaniste (F. Belli)