Graziani: “Ventura dovrebbe dimettersi, è una disfatta che non si cancellerà mai. Sulla panchina metterei Ancelotti”

David Moresco – Francesco ‘Ciccio’ Graziani, Campione del Mondo con la nazionale italiana in Spagna nel 1982 ed ex giocatore della Roma, con la quale ha sfiorato una storica vittoria in Coppa dei Campioni, è intervenuto ai microfoni di Pagine Romaniste. Dopo l’inaspettata eliminazione dell’Italia ai playoff di Russia 2018, l’ex azzurro ha voluto dire la sua sulla disfatta contro la Svezia e sul futuro del movimento calcistico italiano.

Che cosa ne pensi della mancata qualificazione dell’Italia per i Mondiali di Russia 2018?
Non si rimedia più, siamo fuori da una competizione importante per il nostro calcio, per i calciatori e per i tifosi. Siamo andati fuori ai playoff contro una squadra ben organizzata, ma modesta. Abbiamo commesso degli errori e non siamo stati bravi ad esaltare le nostre qualità: noi eravamo più forti, ma questo non si è concretizzato sul campo, ci sono grandi demeriti. Oggi è la giornata della tristezza, del rammarico e della delusione. Lo sport è questo, a volte ci sono momenti esaltanti ed a volte quelli deprimenti. E’ un momento difficile per il calcio italiano.

Il Ct Gian Piero Ventura ha commesso degli errori? 
Sì, anche se ha una percentuale più bassa rispetto a quella dei calciatori. Possiamo discutere alcuni comportamenti e alcune scelte, ma in campo ci vanno i calciatori ed hanno dato molto meno di quello che ci si aspettava. Noi, con tutto il rispetto per la Svezia, che non ha le nostre qualità, il nostro estro e la nostra fantasia, eravamo più forti, ma non è bastato. A volte la presunzione, il pensare di essere più bravo e che fosse un turno abbordabile ci ha fatto abbassare la guardia e diventiamo vulnerabili. Nel doppio confronto cinque o sei calciatori hanno dato meno di quello che si aspettava, non siamo stati neanche troppo fortunati negli episodi. Il nostro strapotere tecnico non si è visto, soprattutto sul campo, ed ha determinato un’eliminazione che fa rabbia. Non siamo riusciti in tre ore di gioco non solo a fare un gol, ma nemmeno a prendere una punizione dal limite dell’area. Alcune scelte di Ventura non le ho capite, non ha fatto giocare il miglior talento italiano, cioè Insigne, è un peccato mortale; sacrificandolo in virtù di un assetto tattico che poi non ci ha dato nulla, perché questo 3-5-2 che cosa ci ha regalato? Solo delusioni. Non sono gli assetti tattici che fanno vincere le squadre, ma gli uomini, per come stanno in campo e per la qualità che esprimono. I calciatori devono assumersi le loro responsabilità, perché non sono riusciti a mettere in campo le loro qualità. Non discuto che ci abbiano messo impegno, dedizione e cuore, ma nel calcio questo non basta, ci vuole qualcosa di più.

Ventura dovrebbe dimettersi?
Mi stupisco del fatto che ancora non l’abbia fatto, anche se ha un contratto fino al 2020. Se fossi stato in Federazione non glielo avrei fatto, perché prima si raggiungono i traguardi e poi si parla di progetti e prospettive nuove. Dopo la gara con la Spagna persa in quel modo, fare il contratto a Ventura fino al 2020 è stata una follia, non lo condivido questo comportamento della Federazione e del suo Presidente. In cuor mio, se fossi stato nei panni di Ventura, avrei subito chiesto scusa ai tifosi italiani, prendendomi le mie responsabilità, perché ci sono, ma dicendogli anche che le scelte erano frutto della convinzione che fossero le migliori, ma i risultati non mi hanno dato ragione e quindi mi dimetto, perché vorrei uscirne pulito, contestato, ma pulito dal punto vista morale. Il Presidente Federale non si dimette, l’allenatore nemmeno, ragazzi siamo all’assurdo.

Chi vedi sulla panchina della Nazionale?
Bisognerà far passare qualche giorno e riflettere a mente fredda su quelle che possono essere le prospettive future, io penso che la prima persona a cui fare riferimento è Carlo Ancelotti che al momento è libero, ha allenato i più grandi club d’Europa ed ha vinto tantissimo, chissà che magari gli venga la voglia di programmare quattro anni diventando il selezionatore della nostra Nazionale. Credo che lui possa essere allettato da questa ipotesi e la prima cosa che farei sarebbe proprio quella di andare a cercare Carlo in maniera che se lui dovesse accettare c’è la possibilità, con i tanti giovani che abbiamo, di ricostruirci un futuro e ritornare a vederlo con più ottimismo, anche perché io credo che nei prossimi anni torneremo ad essere competitivi.

Una delusione così grande può influire anche sui giocatori in campionato?
Sì, sicuramente, è un contraccolpo psicologico che è peggio di dieci bastonate alla schiena. Anche io ho vissuto dei momenti difficili calcisticamente parlando e ci è voluto del tempo, tanto tempo e a volte non ti permette nemmeno di assorbire al 100% la delusione. Se oggi dovessi immaginare l’aspetto psicologico dei giocatori che hanno preso parte alla spedizione, tranne alcuni che non si sentono assolutamente responsabili, come Insigne, che ha giocato solo pochi minuti e si sente comunque in negativo dal punto di vista psicologico, questa disfatta diventerà per loro una macchia indelebile che non si cancellerà mai. Nei tanti momenti belli che ricorderanno ci sarà purtroppo da ricordare anche questo momento così brutto.

De Rossi ha dato l’addio alla Nazionale, il prossimo anno probabilmente lascerà anche la Roma. Quanto mancherà un giocatore con il suo carisma?
Daniele ha fatto un percorso straordinario in Nazionale, è diventato Campione del Mondo, ha fatto tantissime presenze e tanti gol perché se andiamo a vedere ha fatto 19 gol. Credo che sia uno dei centrocampisti più prolifici della nostra Nazionale, nel bene o nel male anche lui rimane all’interno di una storia meravigliosa che ha avuto con la Nazionale. In questo momento il dispiacere mette da parte tutte le cose belle perché anche ieri l’abbiamo visto soffrire tantissimo in panchina: non poter dare il proprio apporto, mettere in campo l’esperienza che ha sempre messo. Sapevamo che era soltanto questione di mesi perché se ci fossimo qualificati Daniele avrebbe fatto parte di quella spedizione, non sappiamo se avrebbe giocato oppure no e alla fine del Mondiale del 2018 avrebbe dato l’addio alla Nazionale. Darlo in questo modo, come per Buffon, per Barzagli e per Chiellini, suscita un’amarezza incredibile che si porteranno dietro per molto tempo, forse per tutta la vita.

David Moresco

La rivincita

Simone Indovino – Ci sono tante e svariate qualità attribuibili ai calciatori. Forza, tecnica, velocità, classe. Solo in pochi riescono tuttavia ad essere fortissimi mentalmente e a ribaltare le opinioni non positive dei tifosi. Ci è riuscito forse uno dei meno quotati nella testa di tutti: Juan Jesus, in giallorosso ormai da un anno e mezzo.  Vero, le primissime prestazioni del brasiliano alla Roma non hanno di certo fatto brillare gli occhi ai supporter capitolini che, impazienti come sempre, non hanno di certo risparmiato le critiche e qualche battuta di troppo (sopratutto tramite i social) al difensore.

LAVORO, LAVORO E LAVORO – All’inizio della scorsa stagione con Luciano Spalletti in panchina, Jesus ha spesso ricoperto il ruolo di terzino sinistro. Gare non del tutto opache ma che lasciavano trasparire una certa insicurezza da parte sua. E così, non appena Fazio e Manolas hanno iniziato ad incrementare la loro intesa, la panchina era diventata la dimensione del classe ’91. Ma le tante partite da affrontare e la voglia mai tramontata hanno aperto al brasiliano una corsia preferenziale nelle gerarchie dell’allora tecnico, che ha potuto constatare i suoi miglioramenti gara dopo gara grazie al lavoro mai sottotono del centrale. Contemporaneamente iniziavano a riaffiorare gli apprezzamenti da parte dei tifosi, felici di doversi rimangiare quanto detto appena pochi mesi addietro.

STAGIONE NUOVA, STESSA STORIA – Chi pensava che Juan Jesus potesse essere soppiantato dall’avvento di Eusebio Di Francesco è stato immediatamente smentito. Il vantaggio dell’ex Inter, in questo frangente, è stato poter lavorare dal primo momento col nuovo tecnico nel ritiro estivo di Pinzolo. È stato infatti tra i primi ad assimilare gli schemi dell’allenatore, che l’ha premiato schierandolo da titolare nelle prime apparizioni della nuova Roma. Sin da Bergamo, debutto stagionale del 20 agosto: «La gara con l’Atalanta è il momento più bello da quando sono nella Capitale, ho dato una risposta a tutti dimostrando perché sono qua», le sue parole nel recente intervento attraverso i profili social della società. Con le efficacissime rotazioni di calciatori che sta operando il mister, Jesus sta riuscendo a trovare la giusta continuità che non può che giovare a un calciatore con le sue caratteristiche.

CRESCITA GENERALE – Sono 904 i minuti disputati da Juan Jesus fino a questo momento tra campionato e Champions League. Testimonianza lampante della fiduciache il tecnico ripone nel difensore ma non solo. Tutta la squadra, eccezion fatta degli stoici Alisson, Kolarov e Dzeko, possiede un minutaggio simile. Contrariamente a quanto spesso si sospetta, i cambi di Di Francesco stanno solo facendo bene alla Roma che in tal modo è in grado di mantenere una certa brillantezza fisica e mentale. Consapevolezza espressa dallo stesso brasiliano: «Dobbiamo fare sempre meglio sia in campionato che in Champions: noi siamo la Roma e dobbiamo dimostrare che siamo una grande squadra e possiamo battere chiunque». Prossimo step, il tostissismo derby contro la Lazio del collaudato Immobile. Non si può ancora sapere se sarà Jesus a marcare l’attaccante italiano, ma se così dovesse essere, fiducia a un ragazzo che ha saputo trasformare le pesanti critiche in fragorosi apprezzamenti.

Simone Indovino

La seconda vita di Diego Perotti: Argentina, Spagna, Italia e ancora Argentina

Gianluca Notari – La numerologia non è una scienza semplice. Anzi, a dirla tutta, non è neanche una scienza. E’ un attitudine, uno studio volto a trovare relazioni, di matrice mistica o esoterica, tra numeri ed eventi riguardanti esseri viventi o meno. Ci si può credere o no, ma senza dubbio alcuno ha i suoi lati interessanti.

Presumendo di non conoscere un giocatore, la prima azione istintiva è quella di cercarlo su internet. Aprendo la pagina Wikipedia di Diego Perotti, si legge: “Diego Perotti è un calciatore argentino, centrocampista o attaccante della Roma e della nazionale argentina“. Primo pensiero: questo è forte. Continuando a scrollare la pagina, si legge: “Presenze in Nazionale dal 2009: 2“. La particolarità è che anche suo papà Hugo, pure lui calciatore, ha indossato la maglia albiceleste solamente due volte. Ma il giallorosso, al contrario del padre, non si vuole fermare.

Diego Perotti nasce a Moreno, cittadina in provincia di Buenos Aires, il 26 luglio del 1988. Chi nasce lì, solitamente, è subito costretto a scegliere tra due squadre: Boca o River, non si scappa. Nel suo caso, però, la scelta fu quasi obbligata. Papà Hugo, nella sua breve e tormentata carriera, giocò per 7 stagioni con gli xeneizes, divise in due esperienze: la prima della durata di 5 anni, e la seconda di due, intervallate da una breve parentesi – senza tra l’altro mai scendere in campo – con l’Atletico Nacional de Medellìn. Durante le ultime stagioni in maglia Boca collezionò pochissime presenze, appena due. Ma prima di appendere gli scarpini al chiodo, giocò un’ultima stagione, con la maglia del Gimnasia La Plata. Naturalmente, anche qui, le presenze furono soltanto due.

Perotti inizia la sua carriera nelle giovanili del Boca Juniors, ma prima di fare l’esordio da professionista si trasferisce nel più modesto Deportivo Moròn. Dopo una prima stagione da protagonista, si trasferisce nella squadra B del Siviglia, per poi entrare a far parte in pianta stabile nella prima squadra nella stagione 2008-2009. In maglia rojiblancos, nelle quasi 6 stagioni giocate in Andalusìa, conquista due trofei: la Coppa di Spagna del 2010 e l’Europa League del 2014. Anche se, ad onor del vero, nella stagione 2013/2014 lasciò il Siviglia a gennaio, in seguito ai numerosi infortuni accusati nella prima parte di stagione. Così, il figliol prodigo torna a casa, “à la Boca”. Ma anche qui le cose non vanno come dovrebbero: le presenze sono poche, appena due (toh), e successivamente Perotti dichiarerà: “Dopo quella stagione al Boca Juniors pensai di smettere“. Ma la vita, a volte, ti concede una seconda possibilità. E vedendo le volte in cui il numero 2 ricorre nella vita di Perotti, non c’erano poi molti dubbi.

E la seconda chance del Monito si chiama Italia: “Il Genoa mi ha cambiato la vita“, ammetterà poi Diego. Contro ogni aspettativa, nella stagione 2014/2015 terrà una continuità di rendimento impressionante e, esaltato dal 4-3-3 di Gasperini, colleziona 28 presenze condite da 4 gol e ben 6 assist, attirando su di sé gli occhi delle big italiane, il Napoli su tutti: per ogni argentino, Napoli rappresenta la Terra Promessa, dove tutti sognano di ripercorrere le orme del Diez per eccellenza, Diego Armando Maradona. Invece, l’altro Diego, Perotti, rimane a Genova fino al gennaio 2016, quando si trasferisce a Roma. Il suo impatto con i giallorossi è formidabile: nelle 15 partite in cui forma un tridente formidabile con El Shaarawy e Salah, Perotti segna 3 gol e confeziona 7 assist. L’anno seguente diventa sempre più protagonista della squadra di Spalletti, regalando anche ai giallorossi l’accesso in Champions League all’ultima giornata, il giorno dell’addio di un altro numero 10, Francesco Totti.

Ora, dopo un inizio di stagione positivo nella nuova Roma di Di Francesco, arriva forse la sorpresa più inattesa: la convocazione in Nazionale. La prima volta era stato convocato da Maradona, nel 2009, mentre la seconda e ultima gara l’aveva giocata nel 2011, contro la Nigeria. La gioia di Perotti per una convocazione che mancava da più di 6 anni è stata incontenibile e prontamente ha postato sui social una sua immagine in maglia albiceleste con le parole: «Tra cose buone e cose cattive, ma la vita e il calcio mi hanno mostrato che non devi mai arrenderti o abbassare le braccia. Vamos Argentina!»

La voglia di continuare a stupire è tanta, così come la voglia di ricordare a papà Hugo che il numero due, in fondo, è solamente un numero, e che la vita è pronta sempre a darti un’altra chance. Chi si ferma è perduto, anche se di cognome ti chiami Perotti.

Gianluca Notari

Finalmente, Diego si è sbloccato

(E.Bandini) – C’è voluto quasi un anno. Per l’esattezza 346 giorni perché Perotti si sbloccasse. L’ultima volta che Diego segnò in due partite consecutive fu lo scorso autunno. Sulla panchina c’era ancora Luciano Spalletti e la Roma il 20 novembre perse 2-1 a Bergamo contro l’Atalanta con gol della bandiera proprio dell’argentino, che andò in rete anche in Europa League 4 giorni dopo all’Olimpico nel largo successo per 4-1 contro il Viktoria Plzen. L’ex Genoa però riuscì a ripetersi la domenica seguente, il 27 novembre, contro il Pescara di Massimo Oddo. E chissà che Perotti quest’anno non si possa eguagliare trovando il gol nella terza gara di fila nel derby con la Lazio dopo la sosta per le Nazionali. Inoltre contro il Chelsea dopo 156 giorni è tornato a segnare un gol su azione: l’ultimo fu il 28 maggio, giorno in cui Francesco Totti appese gli scarpini al chiodo, nel 3-2 al Genoa che valse l’accesso diretto ai gironi di Champions League.

MESI CALDI  Ottobre e novembre, dati alla mano, sono i suoi mesi: primo gol con il Grifone il 5 ottobre 2014 in casa del Parma, ultima gara con la maglietta dell’Argentina fu il 14 novembre 2009 contro la Spagna: allora sulla panchina dell’Albiceleste c’era Diego Armando Maradona, oggi c’è Jorge Sampaoli. L’ex c.t. del Cile ha convocato Perotti dopo ben 6 anni di assenza. Finalmente! Convocazione assolutamente meritata quella del giallorosso, che nelle ultime settimane si è ripreso trovando un ruolo fisso nella Roma targata Eusebio Di Francesco. Guardando i minutaggi degli attaccanti capitolini, il tecnico abruzzese non rinuncia mai a Perotti. Nelle gare di cartello, insomma nei big match, è sempre sceso in campo da titolareInter, Napoli, Atletico Madrid e Chelsea,sia andata che ritorno. Diego ha saltato soltanto la sfida di San Siro contro il Milan a causa di un edema post/distrattivo del muscolo bicipite femorale della coscia destra, che l’ha costretto a stare fermo per quasi 10 giorni. L’argentino finora è il secondo attaccante più utilizzato in stagione con 850 minuti giocati alle spalle soltanto di Edin Dzeko (1330′). A seguire via via ci sono Stephan El Shaarawy (742′), Gregoire Defrel (374′), Gerson (312′, con 5 gare giocate nel tridente offensivo), Cengiz Under (236′) e Patrik Schick con i 15 contro l’Hellas Verona. L’ex Boca scenderebbe al terzo posto se si considerasse Radja Nainggolan un attaccante: il Ninja da inizio stagione ha collezionato ben 1144 minuti, ma ha giocato solo una gara in attacco, allo Stadio Olimpico Grande Torino contro i granata di Sinisa Mihajlovic. Nelle altre 12 partite il belga è stato sempre schierato come centrocampista, quindi quello di Torino può essere considerato un caso sporadico.

CHI BEN COMINCIA E’ A META’ DELL’OPERA – Perotti è l’unico tra gli attaccanti ad avere iniziato a lavorare con Di Francesco fin dai primi giorni: l’argentino infatti si è allenato dal 7 al 14 luglio nel ritiro di Pinzolo. In quella settimana tra le montagne Diego ha mostrato un’ottima forma fisica e si è messo subito a disposizione del mister. Dopo i primi mesiha finalmente capito i movimenti che chiede Difra e sta entrando sempre di più nel vivo del gioco: puntare l’uomo, tagliare in profondità e calciare in porta ogni volta che c’è l’opportunità ormai sono dei meccanismi ben collaudati nella testa dell’argentino. Perotti finalmente si è sbloccato, anche a livello mentale, e dopo aver ritrovato i gol e l’Argentina vuole continuare la scalata verso il vertice con i giallorossi cercando di strappare anche una convocazione per i prossimi Mondiali in Russia. L’abbiamo aspettato per quasi una stagione, ora Diego vuole riprendersi la Roma a suon di gol decisivi. 

Malagò: “Stadio della Roma? Spero solo si risolva tutto. Dal primo giorno sono un sostenitore del progetto”

Luca Fantoni – Giovanni Malagò, presidente del Coni, ha rilasciato una breve battuta sullo Stadio della Roma a margine dell’evento svoltosi all’Acqua Acetosa sul sostegno dell’impiantistica pubblica e privata. Queste le parole raccolte dai nostri inviati:

 Stadio della Roma?
Dal primo giorno sono un sostenitore del nuovo stadio della Roma, così come dello stadio della Lazio. Non mi mettete in mezzo a queste faccende burocratiche, spero solo si risolva tutto.
Luca Fantoni

De Sanctis: “Questa prima parte di stagione ci ha premiato coi risultati. Fare il calciatore è più semplice rispetto al dirigente”

Luca Fantoni – Il team manager della Roma, Morgan De Sanctis, è intervenuto all’evento UTR di questa sera ed ha parlato anche della sua nuova esperienza. Queste le sue parole:

Che tipo di lavoro è il team manager? Ti piace?
Innanzitutto ci tenevo a portare i saluti di tutta la società, del Presidente Pallotta, di Gandini, di Baldissoni, di Monchi, di Francesco e di tutti i ragazzi che si stanno godendo 2/3 giorni di meritato riposo. Vi ringraziamo per l’ospitalità, siete sempre generosi nella vostra manifestazione di affetto e di questo noi ve ne riconosciamo grande merito. Sebino ha fatto riferimento a quanto sia importante rappresentare la bandiera della Roma ed è importante perché voi siete tanti, generosi e attaccati a questi colori. Quindi noi dalla nostra parte cerchiamo sempre di metterci il massimo impegno e questa prima parte di stagioneQuindi noi dalla nostra parte cerchiamo sempre di metterci il massimo impegno e questa prima parte di stagione ci ha anche premiato nei risultati. Il cammino è lungo, lo sappiamo, è un luogo comune dire che tutti insieme nella stessa direzione si possono ottenere grandi risultati però è nella realtà dei fatti. Credo che essere giocatore era più semplice, non più bello o più brutto o complicato. Quando sei giocatore devi concentrarti a fare il giocatore e nel resto della giornata devi pensare a riposarti e non fare stupidaggini. Nel ruolo da dirigente ci sono tantissime cose da fare e soprattutto si entra a contatto con la vita reale. La vita reale è complicata, quindi io un po’ mi immedesimo anche in voi, che bene o male fate parte della vita reale e avete nella Roma una grossa valvola di sfogo e speriamo che possa regalarvi sempre le più grandi gioie possibili. Ribadisco i saluti della società, della squadra e dell’allenatore. Grazie ancora per l’ospitalità, il capitano prima o poi dovrà venire nelle vesti da dirigente in questi centri di rappresentanza ad incontrare i tifosi. Grazie a tutti e daje Roma!

Luca Fantoni

Castan: “Mi sento bene e sono felice di essere qua. Gerson è veramente forte. Non pensavo fosse così dura la cosa che ho passato”

Luca Fantoni – Leandro Castan, difensore della Roma, è intervenuto all’evento UTR di questa sera ed ha parlato anche del sul ritorno in campo. Queste le sue parole:

Com’è stato questo compleanno in giallorosso? 
Sono arrivato qua che ero un ragazzino, pochi giorni fa ne ho fatti 31. Mi sento bene e sono felice di essere qua, sono arrivato ragazzino poi dopo ho avuto un po’ di sfortuna. Sono molto credente, credo che Dio abbia un proposito per tutto e prendo questo con allegria e serenità.

L’anno di Castan e Benatia dicevamo che la forza di quella difesa eri tu. C’è la voglia di tornare a quel livello?
La voglia non manca mai, purtroppo la cosa che ho passato non pensavo fosse così dura. Io come dico sempre alla mia famiglia, sono un professionista. E’ passato tanto tempo e per un calciatore stare fermo come sono stato io, con un intervento al cervello, non è facile. Ma chissà che non potrei tornare. Con Benatia abbiamo fatto veramente molto bene.

Risponde De Sanctis: “La palla non ti arrivava mai, non servivi a niente”.

Che rappresenta la Roma per te? 
Siamo sulla strada giusta. Quest’anno stiamo crescendo sempre, ho visto che è arrivato un allenatore molto bravo e è cambiato tantissimo anche negli anni scorsi. Ci vuole tempo, però l’importante è che a inizio campionato pur non giocando benissimo ha fatto dei punti e ha vinto, è un segnale importante. Adesso sta cominciando a giocare bene e sono contentissimo. Morgan è un grande e ci ha aiutato tantissimo.

Che consigli hai dato a Gerson? 
E’ un ragazzo giovane, però ha la testa molto matura. E’ un ragazzo tranquillo, un professionista e sono molto contento per lui perché il lavoro paga. Penso che nessuno se lo aspettava e sono molto contento perché è un ragazzo dal cuore d’oro e conosco sua moglie e sua figlia, merita tutto quello che gli sta accadendo. E’ un ragazzo veramente molto forte.

Luca Fantoni

Gerson: “Al secondo gol contro la Fiorentina ho pensato che dovevo segnare e basta. Posso fare molto di più”

Luca Fantoni – Gerson, centrocampista della Roma, è intervenuto all’evento UTR di questa sera ed ha parlato anche della partita contro la Fiorentina. Queste le sue parole:

Descrivi quel secondo gol alla Fiorentina…
Ho pensato devo fare gol e basta.

Che cosa ha rappresentato per te la giornata di domenica?
Ho fatto gol e sono molto contento.

Cosa ha rappresentato per te la giornata di domenica?
Castan traduce: “E’ molto contento, si aspettava un’opportunità così di poter giocare. Il lavoro paga e tutto quello che aspettava è un’opportunità”.

Hai lavorato per questo momento o hai sofferto? 
Sapevo che l’anno scorso non ho fatto bene, quest’anno sono tornato cambiato, molto concentrato e sono felicissimo. Questi gol sono solo l’inizio, posso fare molto di più.

Luca Fantoni

Gerson il “Portatore di Pioggia”

Margherita Bellecca – Neanche il diluvio ferma la Roma che a Firenze ottiene la 12esima vittoria consecutiva in trasferta, record assoluto in Serie A, guadagnando due punti su Napoli e Inter, fermate rispettivamente da Chievo e Torino. Il 4-2 con cui i giallorossi sbancano il Franchi è figlio di una crescita sotto il piano caratteriale e di convinzione nei propri mezzi, sicurezze che la Roma sta acquisendo col passare del tempo.

Questa volta il “Portatore di pioggia” non è Spartacus ma Gerson, rinato grazie alla cura Di Francesco che, a differenza del suo predecessore sulla panchina capitolina, ha perseverato nello schierare il giovane talento esterno alto a destra. Il brasiliano è protagonista assoluto: prima beffa Sportiello con un colpo da biliardo, dopo un magnifico recupero di Nainggolan, e successivamente lo trafigge con un sinistro secco sul primo palo. Due gol, i primi con la maglia giallorossa, estremamente diversi che dimostrano le qualità di un ragazzo che sta sbocciando e che in breve tempo può compiere un passo di maturità decisivo.

Il pomeriggio toscano regala altre sorprese quando la Roma viene bucata per la prima volta in trasferta da Veretout. Il centrocampista sfrutta un perfetto cross di Gil Dias, che dribbla troppo facilmente Kolarov, uno scivolone di Florenzi e il ritardo in copertura dei giallorossi. La difesa capitolina fa acqua perché in occasione del 2-2 Fazio si perde il Cholito Simeone che di testa batte ancora Alisson. Negli spogliatoi Di Francesco ha sicuramente strigliato i suoi che nel secondo tempo hanno aggredito la Fiorentina azzannandola, prima, con un fortunoso colpo di spalla di Manolas e, poi, con un potente sinistro di Perotti che non vuole smettere di segnare su azione. I Viola pian piano spariscono dal campo con la retroguardia della Roma che si ricorda di essere la migliore in Serie A, 7 i gol subiti in 11 partite.

Gli ospiti avrebbero altre possibilità di arricchire lo score ma questo, forse, sarà il passo successivo da compiere: impedire all’avversario qualsiasi pensiero su una possibile rimonta. Si va alla sosta per le Nazionali con una classifica corta, sono 5 i punti che dividono la Roma dal Napoli primo, con i giallorossi che devono recuperare ancora la partita contro la Sampdoria. Al rientro ci sarà il derby per capire se la squadra di Eusebio Di Francesco si potrà sedere nel treno che conta, quello che porta alla lotta per lo Scudetto. Ora tutti remano nella stessa direzione come dice il tecnico: “Ho fatto il lavoro più importante nella testa dei calciatori per fargli capire al meglio le mie idee, ora sposano in pieno la mia teoria”.

Margherita Bellecca

La Fiorentina di Pioli: quando i cavalli si vedono all’arrivo

Gianluca Notari – “Una squadra che deve lavorare per non soffrire e arrivare a qualche soddisfazione. E’ una squadra molto nuova, oggi in campo c’erano solamente tre giocatori su undici che facevano parte della squadra dello scorso anno, con giocatori giovani che spesso vengono da campionati esteri. Stiamo facendo vedere delle buone qualità. Non siamo a livello delle 5 o 6 squadre più forti del campionato, ma con le altre ce la giochiamo“. Con queste parole, Stefano Pioli chiosa sulle prospettive stagionali della sua Fiorentina. Una squadra giovane, talentuosa, ma ancora acerba e che deve trovare i giusti equilibri. L’unica strada per farlo, e Pioli lo sa, è il lavoro.

Un tecnico giovane ma già esperto, con esperienze di tutto rilievo alle spalle sulle panchine di Lazio e Bologna, forse bruciato troppo presto da una piazza feroce come quella della Milano sponda nerazzurra, ultima tappa prima di approdare alla Viola. Eppure Pioli non si è dato per vinto, si è rimboccato le maniche e ha accettato un incarico non privo di insidie: la piazza è da mesi apertamente schierata contro la proprietà, e le partenze di giocatori come Gonzalo Rodriguez, Bernardeschi, Vecino, Borja Valero ed Ilicic non hanno certo rinsaldato i rapporti. Alla guida del mercato è tornato il sempre verde Pantaleo Corvino, che con un budget ridotto all’osso ha costruito una squadra fresca e di ottimi prospetti, come quelli di Pezzella e Simeone, sui quali si erano già posati gli occhi di diverse big italiane ed europee.
Assieme ad alcune scommesse di futuri crack – Gil Dias e Zekhnini su tutti – che da sempre fanno parte del modo di lavorare del ds salentino, si è puntato su giocatori di sicuro affidamento come Thereau, Eysseric, Veretout e Benassi, riuscendo anche a confermare pedine importanti come Badelj, Astori ed il gioiellino Chiesa.

Inoltre, per chi deve fare i conti a fine sessione di mercato, l’aspetto forse più interessante è quello del bilancio: la Fiorentina ha incassato 111 milioni, spendendone 72 per acquistare 18 nuovi giocatori il che, considerate le cifre monstre spese quest’estate, ha del miracoloso. Inoltre, il monte ingaggi dei viola è passato dai 44 milioni della stagione precedente ai 35 di quella attuale, diminuendo quindi di quasi un quarto il totale percepito dai giocatori.

Riprendendo le parole del tecnico, questa è una squadra che dovrà “lavorare per non soffrire“. Probabilmente i primi risultati si vedranno non prima della prossima stagione. Molti giocatori potranno prendere confidenza con il calcio italiano, ed i tanti diamanti presenti in squadra dovranno essere sgrezzati con il lavoro e la fatica quotidiana. Le prospettive sono rosee, ma passerà del tempo prima di raccogliere i frutti. Con buona pace dei tifosi più intransigenti.

Gianluca Notari