Entra Totti nella ripresa e la Roma rialza la testa. All’Olimpico una grande Samp è costretta alla resa.

Totti è ancora al centro della Roma. E’ il capitano, su rigore concesso al fotofinish per fallo di Skriniar su Dzeko, a firmare il successo sulla Sampdoria all’Olimpico: 3 a 2. Ma la trasformazione finale è solo la conclusione più concreta di una prestazione di altissimo spessore, ricca di contenuti tecnici e psicologici. Entrando in campo dopo l’intervallo (e dopo il diluvio che ha costretto l’arbitro a sorprendere il match per 65 minuti), tutto è sembrato meno che quarantenne. Giocate di classe per mandare in gol i suoi compagni, a cominciare da Dzeko che ha sfruttato l’assist per firmare il 2 a 2, e movimenti efficaci per aprire la difesa della Sampdoria. Ovviamente con grande lucidità, utile per trasmettere sicurezza al gruppo. E per restare in scia della Juve che è ancora a punteggio pieno. Totti, al debutto in campionato e alla sua stagione numero 25 in giallorosso, ha riacceso la Roma e anche il pubblico. Pochi tifosi, ma romantici. Che, tifando per il loro unico punto di riferimento, hanno accompagnato la squadra, fin lì timorosa, alla vittoria. Se ne sarà accorto Pallotta che, fino a giugno, ha anche pensato di non confermarlo per l’ultimo anno della sua carriera. Nel primo tempo, nonostante il vantaggio iniziale di Salah, i giallorossi hanno subìto la Sampdoria che, con il talento di Alvarez da trequartista, è riuscita a portarsi sul 2 a 1 con le reti di Muriele e Quagliarella, con Juan Jesus sempre protagonista negativo. Szczesny, indeciso su entrambe le reti blucerchiate, ha poi evitato che si arrivasse alla pausa sul 3 a 1: grande intervento su Quagliarella. Spalletti, nella lunga interruzione, ha aggiustato l’assetto iniziale, inserendo Totti per Perotti e Dzeko per El Shaarawy, decisivi per prendersi i 3 punti. Prima del recupero ha dato. Spazio anche a Iturbe per Nainggolan. Ma sono stati i primi due cambi cambiare lo spirito della squadra che nella ripresa ha meritato il successo per il numero delle occasioni create. Viviano è stato straordinario su Strootman, Dzeko e Salah. Solo Totti. È riuscito a ingannarlo, spiazzandolo su rigore. Che la Sampdoria ha contestato: leggero il tocco di Skriniar su Dzeko. Alvarez è stato espulso al rientro negli spogliatoi per proteste. Ma i blucerchiati, nel secondo tempo, si sono arresi prima dell’episodio finale. Perché la Roma, con il suo capitano in regia, ha alzato il ritmo. E ha dominato la gara fino al traguardo.

Francesco Trinca

Roma, quando a tradire sono i figli della capitale.

Partiamo subito da un se, alterando l’ordine della fabula: se ieri all’87’ Florenzi non avesse effettuato quel passaggio abominevole, questo articolo non avrebbe motivo di esistere. Meglio essere chiari. Purtroppo, però, quel suicidio tecnico c’è stato e, nostro malgrado, ha generato tutta una serie di pensieri e riflessioni che, col distacco tipico del giorno dopo, portano a un’amara verità: talvolta a condannare la Roma sono proprio coloro che, al contrario, dovrebbero prenderla per mano.

Ieri è toccato a Florenzi, ma appena sei giorni fa è stato il turno di Daniele De Rossi, nativo di Ostia ma simbolo (contrastato) della causa giallorossa. Contrastato su tutto e da sempre, bisogna dirlo; eppure, tra le lamentele incessanti di chi lo ha sempre avversato, quell’espulsione gratuita rimediata a centrocampo contro un avversario da battere (e non da abbattere) è davvero difficile da perdonare, tanto che ieri perfino Spalletti ha deciso di sottrargli la fascia da capitano.

De Rossi perde la fascia e la Roma perde la faccia, dunque. Ma forse il top dei top (qui inteso come diminutivo di toppate) è ancora lungo da eguagliare. Sì, perché se sbagli un passaggio e provochi un pareggio alla seconda di campionato, beh hai sempre margine di recupero; così come se fai un fallaccio e condanni la tua squadra all’estromissione dalla Champions, puoi sempre sperare nell’Europa League. Ma se sbagli un calcio di rigore in una finale di Coppa dei Campioni, conscio che fin lì forse non arriverai per i prossimi 30-35 anni, ecco che allora scatta la frustrazione.

Per chi non l’avesse ancora capito, stiamo parlando di Bruno Conti e del suo errore dal penalty nella partitissima col Liverpool. Correva l’anno 1984: a Roma la Orlandi era sparita da un anno, a Milano nasceva la Lega e, nonostante queste priorità, il nettunense Conti guadagnava le prima pagine dei quotidiani sbaragliando tutto e tutti. Chissà cosa avrebbe pensato poi se gli avessero detto anche che, di lì a qualche anno, suo figlio sarebbe stato odiato quella stessa curva in cui finiva il pallone da lui scagliato, e che avrebbe fatto fortuna altrove. Proprio in quel Cagliari che ieri, tanto per cambiare discorso, ha condannato al purgatorio l’ennesimo simbolo giallorosso.

Francesco Trinca

La Roma vola alla volta di Cagliari con tanta voglia di riscattare l’eliminazione in Champions.

L’eliminazione nel preliminare di Champions, che possiamo definire senza dubbio clamorosa visto il risultato e la prestazione dell’andata, rischia di avere molteplici effetti in questa stagione per la Roma. In primis dal punto di vista economico, anche se è vero che la Roma teoricamente in questo momento non ha bisogno di vendere perché il 30 giugno scorso è scaduto il periodo relativo agli scorsi anni del FFP (e la squadra giallorossa è già sicura della multa non avendolo rispettato) e la dirigenza sembra aver confermato la rosa in blocco, evitando cessioni eccellenti in questa finestra. Quello che rischia di essere più deleterio è per la squadra è l’ambiente, che fra i processi messi in atto dalla stampa e un malcontento più che giustificato potrebbero incidere sui risultati anche a breve termine degli uomini di Spalletti, pregiudicando la stagione sul nascere. Sarà importante dunque reagire subito domenica sera a Cagliari ripartendo da una vittoria, avendo di fronte una squadra che per quanto ostica non sembra avere una rosa in grado di impensierire troppo la Roma.

A difendere i pali rossoblu ci sarà Storari, vero e proprio incubo per la Roma con le sue innumerevoli prestazioni eccellenti contro i colori giallorossi (su tutte Roma-Samp dell’aprile 2010): davanti a lui difesa a tre per Rastelli con Ceppitelli e Bruno Alves già sicuri del posto. Ballottaggio Capuano-Salomon per la terza maglia, col primo in vantaggio.

A centrocampo il tecnico dei sardi sembra essere orientato a confermare gli stessi uomini della prima giornata. Dunque Isla e Murru larghi sulle fasce, con Padoin, Ionita e Di Gennaro al centro per cercare di interrompere il palleggio romanista ed avere anche abbastanza qualità in impostazione. Ancora panchina in vista per Munari, pronto però a subentrare.

Davanti confermata la coppia Sau-Borriello anche perché sia Joao Pedro che Farias hanno svolto differenziato venerdì, entrambi alle prese con problemi fisici che molto probabilmente li terranno fuori dalla sfida di domenica sera.

I precedenti

Sono 36 le sfide fra le due compagini in Sardegna, con un conteggio totale di 14 vittorie cagliaritane e 13 giallorosse: 9 i pareggi quindi. Il primo incontro risale alla stagione 1964/1965 (la prima in Serie A per i rossoblu), terminata 1-0 per i padroni di casa con rete di Cappellaro. L’ultima sfida risale invece al febbraio 2015, quando la Roma si impose 1-2 con le reti di Ljajic e Paredes (M’Poku per il Cagliari).

I sardi hanno esordito con una sconfitta a Genoa alquanto particolare: dopo essere andati in vantaggio con Borriello, hanno sfiorato il raddoppio con un palo colpito da Giannetti e sul ribaltamento di fronte hanno subito il pareggio di Ntcham per poi subire nel minuto successivo lo svantaggio con Laxalt. Nel finale Rigoni ha firmato anche il 3-1.

A dirigere la sfida sarà Paolo Silvio Mazzoleni della sezione di Bergamo, assistito da Posado e Longo. Ben 18 i precedenti col fischietto lombardo, con cui i giallorossi hanno registrato 12 vittorie, 5 pareggi ed una sola sconfitta (2011/2012 a San Siro con il Milan). Per il Cagliari invece 13 incontri ed una sola vittoria (con la Fiorentina 1-0, febbraio 2014), accompagnata da 4 pareggi e ben 8 sconfitte.

Francesco Trinca

 

Bruno Peres è ufficialmente un giocatore della Roma. Prestito oneroso con obbligo di riscatto a 12 milioni.

La corsa contro il tempo è servita: la Roma inserirà questa sera Bruno Peres nella lista Uefa per averlo nel preliminare contro il Porto (probabilmente per la gara di ritorno). L’accordo con il Torino è stato raggiunto stanotte, in giornata è stato invece messo nero su bianco quello con il suo procuratore: prestito oneroso (1 milione) con obbligo di riscatto fissato a 12,5, più un milione e mezzo di bonus. Il Torino ha mantenuto una percentuale su una futura rivendita, lui firmerà un contratto di 5 anni a circa 2 milioni più premi. Jeans e maglietta bianca, un borsone in spalla, sorridente: il terzino è atterrato così a Fiumicino, da Linate, alle 16.10. “Sono felice, forza Roma”, si è limitato a dire prima di lasciare l’aeroporto e andare a Villa Stuart per le visite mediche. Ad accoglierlo pochi tifosi, a chi gli chiedeva se avesse già parlato con Spalletti ha risposto: “No”, a chi invece gli chiedeva di giocare sabato all’esordio in campionato contro l’Udinese non ha risposto. In serata la Roma ha ufficializzato l’acquisto di Bruno Peres. “L’AS Roma è lieta di annunciare l’ingaggio di Bruno Peres dal Torino FC – si legge nella nota del club -. Il contratto prevede l’acquisto a titolo temporaneo dei diritti alle prestazioni sportive del calciatore, a fronte di un corrispettivo di 1 milione di euro, con obbligo di acquisizione a titolo definitivo, condizionato al verificarsi di determinate situazioni sportive, per un corrispettivo di 12,5 milioni di euro. L’accordo include inoltre il pagamento di un corrispettivo variabile, fino ad un massimo di 1,5 milioni di euro, per bonus legati al raggiungimento da parte del club e del calciatore di determinati obiettivi sportivi”. Nel comunicato della Roma ci sono anche le prime dichiarazioni del calciatore: “Sono estremamente felice di iniziare questa nuova avventura – così Bruno Peres -. Non vedo l’ora di conoscere i nuovi compagni e di mettermi a disposizione del mister. Nel frattempo farò il tifo davanti alla tv domani sera! Forza Roma!”.

Francesco Trinca

26 luglio 1921: nasceva Amedeo Amadei, l’Ottavo Re di Roma.

Il 26 luglio del 1921 nasce Amedeo Amadei, il primo ad essere insignito dell’appellativo di “Ottavo Re di Roma”.

A Roma, Amadei, non arriva in auto oppure in aereo. Il suo mezzo è la bicicletta, amica fedele che da Frascati lo portò fino a Testaccio, ad insaputa della famiglia, per la classica “leva annuale”. Il provino è positivo e la società giallorossa decide che necessita delle sue “gambe” proprio come il padre necessità invece delle sue “braccia” nel forno di famiglia a Frascati. Le sorelle riusciranno a convincere il pater familias a non impedire al giovane Amedeo la possibilità di far parte dei ragazzi della Roma accollandosi loro la parte di lavoro del “Fornaretto”.

Esordisce così in serie A il 2 maggio 1937 contro la Fioentina (2-2): “Amadei è una ottima promessa, ha lavorato con volontà e precisione, e non si è emozionato. Certo manca di esperienza…” (Cit. Il Littoriale, 3 maggio 1937). Ha solo 15 anni, nove mesi e sette giorni ed è ancora oggi il più giovane esordiente nella massima serie. La settimana successiva i giallorossi vengono travolti dalla Lucchese 5-1 ma Amadei segna il primo dei suoi cento gol in campionato con la maglia della Roma e, vista la giovane età, anche questo è un record ancora imbattuto.

Nella sua storia giallorossa attraversa l’epopea di Testaccio, il primo scudetto della compagine giallorossa, la guerra e la Roma in crisi finanziaria del periodo post-bellico. Un autentico genio del calcio nostrano, dotato di un tiro devastante associato a rara velocità. Basti pensare che il suo movimento tipico è aggirare l’avversario toccando la palla a sinistra e scattando sulla destra per poi ricongiungersi con il pallone. La Roma crede in lui e lo manda a farsi “le ossa” con l’Atalanta in serie B. Poi torna e conquista il posto da titolare.
È l’autentico trascinatore, a soli vent’anni, della trionfale stagione dello scudetto del ’42: i compagni lo lanciano negli spazi e lui s’invola siglando 18 reti.
Durante la semifinale di Coppa Italia contro il Torino nel 1943 viene convalidato un gol molto dubbio ai granata. Ne segue una mischia e qualcuno colpisce il guardalinee. Ne farà le spese Amadei che viene squalificato a vita. Solo tempo dopo si saprà che fu Dagianti il colpevole. Nel 1944 godrà di un’amnistia ma nel frattempo è scoppiata la guerra. Il calcio nazionale si ferma e riprende su base locale e i calciatori per vivere si dividono parte degli incassi.

Nel dopoguerra la Roma ha nel solo Amadei l’unica fonte per fronteggiare la crisi e decide di venderlo, non prima di disputare e contribuire alla salvezza nel campionato 1947/48 con diciannove reti.

Viene ceduto all’Inter e poi al Napoli ma, con la Roma nel cuore, ogni volta puntualizza che potrà decidere di non scendere in campo contro la compagine giallorossa nel caso in cui quest’ultima sia in difficoltà di classifica: “Non potete pretendere che io pugnali mia madre”. Altro calcio, altri sentimenti.

Scontato il suo inserimento nella Hall of Fame giallorossa dopo 234 battaglie e 111 gol. E’ nella coreografia del derby dell’11 gennaio 2015 “Figli di Roma, capitani e bandiere, questo è il mio vanto che non potrai mai avere“.

 

Francesco Trinca

 

Marko Pjaca, dalla Croazia a Torino con furore.

La Juventus piazza il colpo formato Euro. Marko Pjaca ha firmato per i bianconeri!

Talentuoso esterno, capace di giocare a centrocampo e in attacco, classe 1995 epiede destro, Pjaca si è imposto all’attenzione dell’intero continente con un ottimo Europeo disputato con la sua Nazionale. Una competizione, quella appena conclusa in Francia, nella quale ha mostrato tutte le sue doti tecniche, riassunte da un dato: solo Hazard e Bale hanno fatto rilevare una media dribbling riusciti più alta della sua: 3,33 a partita.È giovane, Pjaca, ma non si può dire che la sua non sia una carriera da vincente predestinato. Nato a Zagabria il 6 maggio 1995, Pjaca ha già all’attivo 11 presenze in Nazionale (con un gol) e ha già messo a segno, con la Dinamo Zagabria, la stessa “doppia doppietta” realizzata dai bianconeri nelle ultime due stagioni: Campionato e Coppa di Lega. Se si crede nelle coincidenze, è già un ottimo inizio.Ancora qualche numero: dopo 3 stagioni nella Lokomotiva Zagabria (dal 2011 al 2014), in cui mette insieme 49 presenze e 9 reti in Campionato, 6 presenze e 2 gol in Coppa di Lega e due presenze in Europa, Pjaca si trasferisce, appunto, alla Dinamo.Cosa ha vinto lo abbiamo appena raccontato: sono due stagioni nelle quali Pjaca è indubbio protagonista, con 60 presenze e 19 reti in Campionato, 10 partite e 1 gol in Coppa nazionale, cui si sommano 20 partecipazioni e ben 6 gol in competizioni europee. Dati di una carriera ancora breve, che in bianconero può aggiungere nuove ed esaltanti pagine.

Francesco Trinca

Juan Jesus, da promessa a flop nerazzurro. A Roma per rilanciarsi.

Juan Jesus è già un romanista a tutti gli effetti. Oggi farà conoscenza dei suoi nuovi compagni di squadra, dopo la stretta di mano con Spalletti avvenuta ieri sera, al suo arrivo a Pinzolo .

Sposato, legato alla famiglia e agli amici, poco amante della vita notturna, Juan Jesus è arrivato all’Inter 4 mini e mezzo con aspettative molto alte. Nel 2010, anno in cui ha esordito in prima squadra con l’Internacional, aveva conquistato la Libertadores, nel 2011 è stato il turno del Sudamericano Sub20 e poi il Mondiale U20, in Colombia. Mancino, difensore centrale ma dotato di fisico e corsa che gli consentono anche di giocare sulla fascia, lascia i nerazzurri dopo 142 presenze, un gol e una sola espulsione. Nel 2015 fu squalificato con la prova tv per una gomitata a Chiellini, che gli costò la prima crisi con l’Inter. La seconda è della scorsa estate, quando ha capito che con la coppia Miranda-Murillo per lui ci sarebbe stato poco spazio. Voleva andare via subito, la spesa di poco meno di 4 milioni per acquistarlo era stata già ammortizzata, ma l’Inter non lo ha ceduto, nonostante Sabatini, in ottimi rapporti con il suo agente, lo seguisse. A

desso Spalletti gli chiederà di tornare quel giocatore che a 20 anni faceva innamorare mezzo Sud America e mezza Europa. Un difensore dal carattere ‘fumantino’ (lo scorso maggio h avuto un diverbio in campo con Mancini, che lamentava una mancata copertura), alla Roma Juan Jesus ha l’occasione di giocare titolare, in attesa del ritorno di Ruediger. Senza cali di concentrazione (che facevano infuriare gli allenatori dell’Inter), la Roma è pronta a scommettere che potrà tornare quello di una volta.

 

Francesco Trinca

Roma, Szczesny resta per volere di Spalletti. Caceres è sempre più vicino.

La Roma si raduna giovedì e sabato parte per il ritiro di Pinzolo. Spalletti è pronto, motivatissimo ma aspetta segnali dalla società. Segnali che fanno rima con calciatori. Al momento infatti la Roma deve ancora annunciare il primo rinforzo per la prossima stagione (Gerson, che sbarca oggi, è stato ufficializzato nella seconda semestrale del 2015) e ha perso nello scacchiere titolare Digne e Pjanic, non dimenticando Keita che da Lucio era considerato più che un sesto uomo nel basket (a dimostrazione le 13 gare su 19 disputate nel girone di ritorno). All’elenco non va aggiunto Szczesny che in settimana definirà il proprio futuro nella capitale: il polacco resterà alla Roma. La formula sarà quella del prestito oneroso con diritto di riscatto fissato a 18 milioni. Da soddisfare anche le richieste del portiere che ha posto come conditio sine qua non per rimanere che venga confermato il preparatore Nanni. Spalletti è d’accordo, Sabatini e Massara un po’ meno (contattato il preparatore della nazionale di Conte, Filippi).

GLI ARRIVI Entro mercoledì, verranno poi ufficializzati gli acquisti di Mario Rui e Alisson(da definire poi il suo futuro: non va esclusa l’ipotesi prestito). Attesa per Caceres: trattativa in dirittura d’arrivo. Negli ultimi giorni da registrare le classiche schermaglie tra le parti, con Sabatini che ha provato ad abbassare l’ingaggio (2 milioni) del triennale proposto al difensore (inserendo dei bonus) e l’agente Fonseca che invece è fermo sulle sue richieste. L’intesa, a meno di sorprese, sembra però imminente. Capitolo a parte merita invece Zabaleta. Dopo l’ottimismo delle scorse settimane, da registrare ieri un po’ d’inquietudine: il problema legato alle commissioni non è una formalità come in un primo momento poteva sembrare. L’Inter, sollecitata da Mancini, rimane sullo sfondo. L’alternativa all’argentino anche: Zappacosta (che tra l’altro essendo italiano aiuterebbe in vista della regola Figc 4+4) è uno dei profili più apprezzati da Spalletti.

Una volta sistemate le fasce, toccherà al centrale. Da tempo la Roma punta su Vermaelen. Anche in Spagna ieri confermavano l’interesse giallorosso asserendo che la differenza tra domanda (10) e offerta (8) si aggira sui 2 milioni. A Trigoria in realtà preferirebbero diluire l’operazione con la classica formula del prestito con diritto di riscatto ma quello che va limato è soprattutto l’oneroso ingaggio del belga (4 milioni). In lizza resta anche Juan Jesus: il cartellino dall’Inter è stato in gran parte ammortizzato e il costo è sceso a 6-7 milioni. Intanto rischia di diventare un caso Diawara. L’avvocato che lo assiste (Piraino) è uscito allo scoperto dichiarando che il calciatore «vuole andare via». Il centrocampista è atteso a Bologna tra mercoledì e giovedì e parlerà con la dirigenza.

Francesco Trinca

Italia-Spagna 2-0 siamo ai quarti! Chiellini e Pellè affondano la Roja.

Bestie nere, furie rosse, chiamatele come volete, tanto l’unico colore che conta, qui a Parigi, oggi è l’azzurro. Meravigliosa, coraggiosa Italia: 2-0 alla Spagna, l’avventura a Euro 2016 continua. I detentori del titolo lasciano l’Europeo agli ottavi e forse chiudono un ciclo. Problemi loro: noi andiamo a Bordeaux, con una prestazione maiuscola, un copione “tipo Belgio” e Chiellini-Pellè nel tabellino dei marcatori. Non battevamo gli spagnoli in una competizione ufficiale dal ’94, l’ultima volta, a Kiev, ne avevamo prese quattro. Ma stavolta è un’altra storia. In tornei come l’Europeo, la gestione della fatica è un fattore chiave. E il turnover azzurro contro l’Irlanda paga dividendi, perché i ragazzi di Conte corrono, corrono, corrono. Anche De Sciglio, preferito a Darmian nel 3-5-2, è attivo a sinistra: chiude su un tentativo di Fabregas e propone cross interessanti, sul migliore dei quali Parolo trova l’incornata. Niente da fare, per il giocatore più paragonato a Tardelli l’appuntamento col gol in Nazionale è ancora rimandato. A cavallo della mezz’ora, però, gli azzurri beneficiano di tre minuti di follia di Sergio Ramos, che prima rischia l’autogol e poi abbatte Pellè al limite dell’area. Dov’è Pirlo, quando servirebbe? Negli Stati Uniti… ma non c’è nemmeno il tempo di evocarne la grandezza, perché la punizione di Eder porta al gol. De Gea non trattiene il fendente dell’oriundo, Giaccherini si avventa sul pallone e Chiellini, al 33′, mette dentro sul rimpallo. Esplode il settore del tifo azzurro, l’Italia è in vantaggio e se lo stramerita. Anzi, se De Gea non volasse per negare il raddoppio a Giaccherini, andrebbe al riposo avanti di due gol.

Il cronometro corre, si entra nell’ultimo terzo di gara e la Spagna, finalmente, si scuote. Senza De Rossi, l’Italia agevola il risveglio delle furie rosse, anche in un lunedì in cui hanno ben poco di furioso. Aduriz, Sergio Ramos e Lucas Vazquez (in campo al posto di Morata, che ha steccato la prova di maturità) falliscono tre chance, sebbene l’ultima sia stoppata dal fuorigioco. Poi s’iscrivono al tiro a segno anche Iniesta e Piqué, ma in porta c’è Buffon, mica l’ultimo della pista. Dentro Pedro, Insigne e Darmian per lo sprint finale. Lorenzo accende subito la luce, ma trova i guanti di De Gea. Dall’altra parte siamo a Piqué centravanti. E la mossa per un pelo non si rivela vincente, perché al 90′ Buffon è ancora strepitoso nel dirgli di no. Aggrappati ai guanti del capitano, resistiamo alla marea rossa montante. E quando il pallone corre sul lato opposto, Insigne allarga il gioco per Darmian, l’esterno del Man Utd mette in mezzo e Pellè confeziona il raddoppio tutto “made in Premier”. Game, set and match. Conte corre e non si ferma più. Come la sua Italia. Prossimo ostacolo la Germania, il 2 luglio. Occhio a darci per spacciati.
Francesco Trinca

A Lione esplode la gioia azzurra. Buona la prima per Antonio Conte.

Che Italia, signori. Che partenza a Euro 2016: sconfitto per 2-0 il favorito Belgio a Lione, con una prova tutta cuore e cervello, tutta in stile Antonio Conte. Il pareggio tra Irlanda e Svezia ci proietta al comando del girone: è lunga, è lunghissima, ma intanto è così.  Il primo tempo? Partiamo dalla fine: Clattenburg fischia l’intervallo e Buffon, prima di raggiungere gli spogliatoi, agita il pugno sotto la curva azzurra, che ricambia alzando i decibel. Gigi fa così perché ha appena incassato 46 minuti di conferme, esulta in quel modo perché l’Italia ha eseguito alla grande le istruzioni telecomandate da Conte in queste settimane. Si carica, il capitano, perché gli azzurri sono in vantaggio allo Stade des Lumieres, ed è un 1-0 che ci sta tutto. Equilibrio doveva essere il nostro credo: detto, fatto. L’Italia si muove come una testuggine, coprendo il campo con intelligenza e concedendo ai belgi appena un paio di tiri di Nainggolan nei primi venti minuti. Wilmots ha schierato i suoi in un 4-2-3-1 che diventa 4-3-3 a seconda della posizione di Fellaini, i cui avanzamenti decentrano Lukaku (molto nervoso) sulla destra. Ma la Nazionale di Conte, vestita di un 3-5-2 che non dovrebbe sorprendere nessuno, stupisce invece per la facilità con cui tiene in campo e crea gioco.  La dimostrazione di quanto sia delicato il meccanismo tattico di Conte? Basta guardare cosa succede quando salta un ingranaggio, come all’8′ della ripresa: Darmian perde un pallone banale, il Belgio libera la corsa di De Bruyne, che invita Lukaku nelle praterie. Buffon esce alla disperata, l’attaccante dell’Everton lo grazia e le parole di Gigi verso l’esterno del Manchester United sono inadatte alla fascia protetta in tv. Anche se in mezzo c’è un altro bel colpo di testa di Pellè deviato da Courtois, Conte chiarisce che non si scherza: fuori Darmian, dentro De Sciglio. E Hazard? Il capitano belga prova ad accendersi, ogni tanto, con qualche percussione delle sue. Va anche al tiro, sospinge un Belgio che va a strappi, come lui. Wilmots aumenta la potenza di fuoco, dentro Mertens per Nainggolan. Minuto dopo minuto, la pressione belga si fa più costante, anche se l’apporto di De Bruyne, altra stella di questa selezione, scarseggia. Nemmeno Origi e Ferreira Carrasco bastano ai diavoli rossi. Con il passare dei minuti l’unico ordine che arriva dalla panchina è quello che chiama alla strenua resistenza. Il pallone è deciso a non entrare, almeno nella porta azzurra. Perchè la zampata vincente arriva da Graziano Pellè allo scadere. A Lione esplode il boato tricolore. Buona la prima per l’Italia di Antonio Conte.

Francesco Trinca