A Lione esplode la gioia azzurra. Buona la prima per Antonio Conte.

Che Italia, signori. Che partenza a Euro 2016: sconfitto per 2-0 il favorito Belgio a Lione, con una prova tutta cuore e cervello, tutta in stile Antonio Conte. Il pareggio tra Irlanda e Svezia ci proietta al comando del girone: è lunga, è lunghissima, ma intanto è così.  Il primo tempo? Partiamo dalla fine: Clattenburg fischia l’intervallo e Buffon, prima di raggiungere gli spogliatoi, agita il pugno sotto la curva azzurra, che ricambia alzando i decibel. Gigi fa così perché ha appena incassato 46 minuti di conferme, esulta in quel modo perché l’Italia ha eseguito alla grande le istruzioni telecomandate da Conte in queste settimane. Si carica, il capitano, perché gli azzurri sono in vantaggio allo Stade des Lumieres, ed è un 1-0 che ci sta tutto. Equilibrio doveva essere il nostro credo: detto, fatto. L’Italia si muove come una testuggine, coprendo il campo con intelligenza e concedendo ai belgi appena un paio di tiri di Nainggolan nei primi venti minuti. Wilmots ha schierato i suoi in un 4-2-3-1 che diventa 4-3-3 a seconda della posizione di Fellaini, i cui avanzamenti decentrano Lukaku (molto nervoso) sulla destra. Ma la Nazionale di Conte, vestita di un 3-5-2 che non dovrebbe sorprendere nessuno, stupisce invece per la facilità con cui tiene in campo e crea gioco.  La dimostrazione di quanto sia delicato il meccanismo tattico di Conte? Basta guardare cosa succede quando salta un ingranaggio, come all’8′ della ripresa: Darmian perde un pallone banale, il Belgio libera la corsa di De Bruyne, che invita Lukaku nelle praterie. Buffon esce alla disperata, l’attaccante dell’Everton lo grazia e le parole di Gigi verso l’esterno del Manchester United sono inadatte alla fascia protetta in tv. Anche se in mezzo c’è un altro bel colpo di testa di Pellè deviato da Courtois, Conte chiarisce che non si scherza: fuori Darmian, dentro De Sciglio. E Hazard? Il capitano belga prova ad accendersi, ogni tanto, con qualche percussione delle sue. Va anche al tiro, sospinge un Belgio che va a strappi, come lui. Wilmots aumenta la potenza di fuoco, dentro Mertens per Nainggolan. Minuto dopo minuto, la pressione belga si fa più costante, anche se l’apporto di De Bruyne, altra stella di questa selezione, scarseggia. Nemmeno Origi e Ferreira Carrasco bastano ai diavoli rossi. Con il passare dei minuti l’unico ordine che arriva dalla panchina è quello che chiama alla strenua resistenza. Il pallone è deciso a non entrare, almeno nella porta azzurra. Perchè la zampata vincente arriva da Graziano Pellè allo scadere. A Lione esplode il boato tricolore. Buona la prima per l’Italia di Antonio Conte.

Francesco Trinca

14-06-1986 Desideri e Cerezo regalano alla Roma il trionfo in Coppa Italia.

Il 14 giugno 1986 arriva all’Olimpico la Sampdoria per la gara di ritorno della Finale di Coppa Italia. L’andata è finita 2-1 per i blucerchiati e il gol di Tovalieri a Marassi è davvero un bottino importante nell’ottica del doppio scontro. La Roma, priva di molti titolari per gli impegni con le rispettive nazionali (in quei giorni in Messico si stava giocando il mondiale, poi vinto dall’Argentina di Maradona) si presenta con una formazione “riempita” di giovani. Mancano infatti Tancredi, Conti, Ancelotti, Nela e Boniek. Siamo all’indomani della splendida cavalcata in campionato finita tragicamente (in senso sportivo) contro il Lecce. Tengono banco il caso Bonetti e il caso Dundee. Nonostante tutto l’Olimpico è una polveriera e risponde presente alla chiamata alle “armi” per sostenere e spingere la Roma all’impresa.

In questa atmosfera si gioca la Finale di Coppa Italia. Prima della partita la rabbia verso le istituzioni del calcio si trasforma in striscioni di protesta: “F.I.G.C. trema, Roma non ti ama”“I soldi di Viola fanno parlare, quelli degli altri fanno tacere”“L’Italia calcistica rimpiange Artemio Franchi”,“F.I.G.C. le vostre manovre sono sempre più sporche”. Poi ancora “Sordillo disonesto, hai ottenuto ciò che volevi”, “Sordillo, raccontaci Italia-Camerun” e “Uomo del sud, mafioso del Nord” quelli rivolti al Presidente Federale.

Finalmente le squadre entrano in campo. La Roma, costretta a vincere, si getta a capofitto nella metà campo avversaria alla ricerca disperata del gol del vantaggio. I blucerchiati, invece, cercano di addormentare il gioco. Dopo quaranta minuti di schermaglie inconcludenti, l’occasione per cambiare volto al match arriva: Giannini ruba un pallone sulla trequarti, senza pensarci due volte serve Tovalieri che entra in area e viene atterrato da Mannini. L’arbitro Lanese decreta la massima punizione che Desideri realizza con una “gran botta”.  Nella ripresa la Sampdoria cerca di accelerare e i giallorossi giocano in contropiede. C’è il tempo di vedere l’espulsione di Graziani per reazione e un paio di interventi notevoli del giovane portiere giallorosso Gregori.

La Roma soffre. Subire un gol significherebbe perdere la coppa. Subire un gol significherebbe perdere ancora. Due volte in una stagione no, non si può.  All’86’ Eriksson decide di far entrare Cerezo, forse solo per la passerella finale. Lui, che solo perché non al meglio della condizione non è in Messico. Ad un minuto dal termine succede quello che non ti aspetti. Allo scadere dei novanta minuti il calcio decide di diventare poesia: Toninho è al centro dell’area, non proprio la sua posizione, ma evidentemente ha un appuntamento con il pallone che Impallomeni mette al centro. Un cross di rara precisione in favore di Toninho il quale lo raccoglie di testa in elevazione e lo deposita in rete.

L’Olimpico è una bolgia, la paura è spazzata via. Si può finalmente gioire. E può gioire Cerezo, per l’ultima volta con la maglia giallorossa sulla sua pelle. Toninho esulta ormai a torso nudo verso la Sud che incita a gran voce il suo nome facendolo scoppiare in lacrime, un saluto sentimentalmente forte.  Pruzzo in virtù del due a zero maturato all’Olimpico può alzare al cielo la sesta Coppa Italia della storia giallorossa.

Francesco Trinca