Viaggiando nella Hall of Fame: Paulo Roberto Falcao, il “gaucho” che ha illuminato Roma

Pagine Romaniste (F.Belli) – E’ il giorno di San Lorenzo di un estate di inizio anni 80′, un estate speciale per ogni tifoso romanista. E’ l’estate dell’arrivo di Paulo Roberto Falcao, colui che da lì a poco sarebbe diventato l’ottavo re di Roma. Un campione mai dimenticato, diventato leggenda prima ancora del diffondersi del mito, come accade solo a pochi privilegiati. Il divino, perché il suo modo di giocare non era qualcosa di umano, ma piuttosto di trascendentale. Qualcosa che, almeno a Roma, non si era mai visto. Disse in tempi recenti il figlio Giuseppe: “C’è una Roma prima di Falcao e una Roma dopo Falcao”. La rivoluzione importata nella Capitale da un brasiliano che “meno brasiliano non c’è”. In altri termini Gaucho, soprannome dato a tutti coloro che sono nati nel sud del Brasile, la contraddittoria terra dove la dittatura militare e la Democrazia corinthiana di Socrates riescono a convivere nello stesso periodo. Ma queste sono altre storie. Lui, quel ragazzo cresciuto ad Abelardo Luz, circondario di Xanxere, non viene però dal Timão. Viene da una squadra più anonima, diventata grande proprio nei suoi sei anni di militanza: l’Internacional di Porto Alegre. Tre campionati conquistati dal 1973 al 1979 per una squadra che prima di lui non ne aveva mai vinti. Non basta: la piazza vuole Zico, il campione conosciuto “in questo mondo e quell’altro”, anche perché nella Capitale, di quel ricciolino, si sa veramente poco.

L’arrivo a Roma

Di Falcao ci sono solo poche registrazioni, per lo più in bianco e nero e con immagini sfuocate. I tifosi restano attoniti ma alla fine si fidano di Liedholm che lo presentò così di fronte ai giornalisti: “Gran iocatore, intelijiente. Lui piedi come mani“. E fanno bene a fidarsi, perché il giocatore con la maglia numero 5 è destinato a cambiare la storia. E la storia cambia. Non immediatamente, passeranno alcuni anni anche se qualche trofeo arriva subito come la Coppa Italia nel 1981, nella stessa stagione del celebre “non gol” di Turone. Più precisamente passeranno 3 anni, era il 1983 quando la Roma si laureò per la seconda volta nella sua storia (a distanza di 41 anni) campione d’Italia. E c’è molto di Falcao in quel trionfo. Un esempio su tutti: la trasferta insidiosa con il Pisa che arriva a pochi giorni dalla sconfitta contro la Juventus che sembra preannunciare l’ennesimo, rovinoso, crollo giallorosso. E invece no, ci pensa il gaucho a segnare il gol dell’1-0 che sblocca il match e risveglia i capitolini, che da quel momento non sbagliano più un colpo. Ma è forse un altro il momento impresso nella mente di tutti: l’assist di tacco a Pruzzo. Non è importante l’avversario, la Fiorentina, o la stagione, 1981-1982, ma il gesto tecnico. Un tacco volante che ancora oggi mette in imbarazzo le più belle prodezze di Messi e co. Quel tacco è Paulo Roberto Falcao, il re gaucho che ha illuminato Roma. La storia però, quella di Falcao a Roma, non è come nelle favole, citando il buon Vasco. Culmina senza lieto fine, col brasiliano che si infortuna al ginocchio e che, senza il barone in panchina, non riesce a ritrovarsi. Ma non importa, perché le storie belle non hanno un lieto fine. Semplicemente non finiscono, e quella dell’ottavo re di Roma non finirà mai, finché ci sarà qualcuno disposto a ricordarla. Pagine Romaniste (F.Belli) –

“Falcao ottavo re”, mostra a Roma

Pagine Romaniste (F.Belli)E’ il giorno di San Lorenzo del 1980. Cadono le stelle, e ogni cuore giallorosso chiede al cielo un miracolo: la Roma campione. Questo rito si ripete ininterrotto da 4 decenni. Solo un miracolo può realizzare questo miraggio. Il miracolo si chiama Paulo Roberto Falcao da Xanxere. Non è quindi facile spiegare cosa abbia rappresentato quel genio con i capelli ricci per un tifoso della Roma. “Tu mi hai accompagnato negli anni più belli della vita”, questa la frase che racchiude il pensiero di qualsiasi tifoso che l’abbia visto solcare il prato dell’Olimpico incisa all’ingresso di una mostra a lui dedicata in Piazza Navona, nell’Ambasciata Brasiliana. L’esposizione, che terminerà il 13 settembre, contiene alcuni cimeli e 52 foto che ripercorrono tutta la carriera del fuoriclasse brasiliano, dagli esordi al Mondiale di Spagna ’82, alle esperienze con i club, passando per le spedizioni internazionali con la Selecao. Tutte le immagini sono racchiuse in due stanze principali e ognuna di esse racchiude un momento importante della carriera del giocatore. La mostra diventa una sorta di racconto del mito, la narrazione di una vita fuori dal normale. Sono tanti gli scatti iconici legati a Falcao ed esposti: l’esultanza per il momentaneo goal del 2-2 all’Italia nel Mondiale di Spagna, gli abbracci con i vecchi compagni Di Bartolomei e Conti e quelli con l’avversario di sempre, Maradona. C’è’ poi anche una terza stanza, all’interno della quale è proiettato un documentario prodotto da Roma TV.

Nella città eterna è stato battezzato come l’ottavo re di Roma, un soprannome pesante, il successore del Superbo a quasi tre millenni di distanza. Un regista elegante ma anche sintetico, sopraffino e duttile, ma soprattutto estremamente intelligente. Iconico il 5 preteso sulla maglia, numero che nella sua terra natia indicava “o comandante do jogo”, il comandante del gioco. Un servo naturale della bellezza, un po’ la personificazione della mentalità verdeoro di quella generazione, per la quale il divertimento era l’essenza pura del calcio. Ma anche concreto. Celebre l’aneddoto secondo il quale nel giorno della sua presentazione il patron Viola gli chiese di cimentarsi in qualche giocata spettacolare per entusiasmare i tifosi. Falcao rispose con un colpo di tacco e vari numeri ma alla fine ammonì il presidente, chiedendogli di non pretendere più che facesse la foca ammaestrata. Era fatto così il divino: grande personalità e classe ma poco incline alla goliardia. Un artista del pallone che ha cambiato il destino di tutte le società dove ha militato.

Esordisce all’Internacional de Porto Alegre con cui vince tre campionati e due premi come miglior giocatore del campionato. Il club brasiliano prima del suo avvento non aveva vinto nessun trofeo di tale portata. Nell’80’ lo sbarco in quella che anni dopo definirà la sua seconda casa. E pensare che a Fiumicino i tifosi aspettavano trepidanti un altro brasiliano, ben più celebre del suo connazionale, un certo Arthur Antunes Coimbra, più noto come Zico. Nessuno all’inizio ha vagamente percepito l’importanza del suo arrivo, salvo poi ricredersi. Uno straniero che avrebbe trasformato la Rometta scarsa e perdente dei decenni precedenti in un club capace di arrivare ad un gradino dal tetto d’Europa, bloccandosi contro l’invincibile Liverpool di Grobbelaar. – Pagine Romaniste (F.Belli)