Studio ed organizzazione: quando i soldi non scendono in campo

Gianluca Notari – Quante volte si è detto “senza i campioni non si vince“? A chi è appassionato di calcio, questa frase non risulterà di certo nuova. Le vittorie si ottengono con i grandi giocatori, ovvio, nessuna squadra scarsa ha mai vinto nulla. Eppure, non tutte le squadre possono avere le rose di Real Madrid, Manchester City e Bayern Monaco. Le squadre di minore cabotaggio devono arrangiarsi. Non c’è altro da fare.

Eppure, non sono sempre le squadre di maggior talento, o quelle che spendono di più sul mercato, a vincere titoli e a raggiungere traguardi importanti. Ne sa qualcosa il Milan, esempio ultimo di squadra spendacciona e perdente. Ma non si senta solo, perché il diavolo è in buona compagnia. Per anni campagne acquisti faraoniche di squadre come il Malaga, il Paris Saint Germain o lo stesso Manchester City hanno dimostrato che i soldi contano, certo, ma fino ad un certo punto. La differenza, benché se ne dica, la fa l’organizzazione. “La potenza è nulla senza il controllo” recitava qualche anno fa una nota pubblicità di pneumatici: se non è un concetto buono aprioristicamente e universalmente, lo si può di certo applicare al calcio. Nell’era degli iPad, delle stats, del mental coaching e dei match analysts, l’organizzazione di gioco, scandagliata e sviluppata in ogni più piccolo particolare, è quantomai necessaria. Il campione – o i campioni – presi da sé possono portare qualche risultato, certo, ma senza una buona organizzazione ed un buono studio delle metodologie di gioco, non si costruisce nulla di duraturo.

A conferma di ciò c’è l’assurdo caso del Monaco: la squadra del principato, nel 2011, fu acquistata da Dmitry Rybolovlev, ricco magnate russo che, dopo aver riportato in Ligue 1 la squadra monegasca, investe sul mercato fiumi di euro, acquistando giocatori come James Rodriguez, Falcao, Kondogbia e Joao Moutinho. Nonostante i buoni risultati – un secondo e due terzi posti in campionato – i traguardi raggiunti sono ben oltre sotto le aspettative e questo, insieme a problemi di natura personale incorsi negli anni, costringono il magnate russo ad un forte ridimensionamento. Vengono ceduti diversi giocatori, come Ocampos, Carrasco e lo stesso Kondogbia, nel tentativo di rientrare un po’ in un investimento che, fino a quel momento, si era dimostrato fallimentare. Così, la società è costretta a rimpinguare il proprio organico promuovendo giocatori dal settore giovanile o comprando giovani dalle belle speranze, politica questa in totale rottura con le campagne acquisti in pompa magna degli anni precedenti. Nel frattempo, però, sulla panchina del Monaco si siede un tecnico sconosciuto ai più, che pur avendo ottenuto ottimi risultati con il Braga e lo Sporting Club de Portugal, era rimasto senza panchina: Leonardo Jardìm. Una scommessa, niente più: ma il tecnico portoghese, in sole tre stagioni, vince un campionato francese – interrompendo la striscia del PSG – e conquista i quarti di finale di Champions League, perdendo contro la futura finalista Juventus. Jardìm ha dimostrato come, con il lavoro sul campo – poche idee, semplici come il 4-4-2 utilizzato in campo, ma chiare – ed un ottimo lavoro di scouting – in patria prima, nel resto d’Europa e del mondo poi – si possono raggiungere risultati ed obiettivi perseguiti per anni, senza successo, sprecando inutilmente milioni su milioni.

Alisson, Manolas, Moreno, Fazio e Juan Jesus: questi 5 nomi sono, ad oggi, la migliore difesa possibile che si può trovare in Italia in questo momento. Certo, nel conteggio dei gol presi manca una gara insidiosa come quella di Genova contro la Sampdoria, e si, la difesa non la fanno solo i difensori ma è la squadra intera a lavorare in transazione difensiva. Ma i numeri questo dicono, e i numeri non mentono mai. 3 su 5 non sono certo dei campioni, due forse lo sono – o comunque sono più vicini al “pianeta campioni” rispetto agli altri – ma sta di fatto che il calcio a livello europeo e mondiale sa offrire certamente di meglio. L’organizzazione però, come abbiamo visto, non si compra sul mercato. La si studia, ci si lavora, si sbaglia e si corregge. Non si compra. Eusebio Di Francesco questo lo sa, lo sa fare e gli riesce anche molto bene. A discapito dei molti detrattori di inizio stagione, ora il suo carro è pieno di gente, tanta, forse troppa, che fa festa e lo venera esaltandone le qualità. Ma in fondo, tra le molteplici qualità che un allenatore può avere, ce n’è una fondamentale, senza la quale non si può fare questo mestiere: sapere allenare. E Di Francesco, in questi primi mesi di Roma, ha dimostrato di saper allenare davvero bene. Amen.

Gianluca Notari