La Fiorentina di Pioli: quando i cavalli si vedono all’arrivo

Gianluca Notari – “Una squadra che deve lavorare per non soffrire e arrivare a qualche soddisfazione. E’ una squadra molto nuova, oggi in campo c’erano solamente tre giocatori su undici che facevano parte della squadra dello scorso anno, con giocatori giovani che spesso vengono da campionati esteri. Stiamo facendo vedere delle buone qualità. Non siamo a livello delle 5 o 6 squadre più forti del campionato, ma con le altre ce la giochiamo“. Con queste parole, Stefano Pioli chiosa sulle prospettive stagionali della sua Fiorentina. Una squadra giovane, talentuosa, ma ancora acerba e che deve trovare i giusti equilibri. L’unica strada per farlo, e Pioli lo sa, è il lavoro.

Un tecnico giovane ma già esperto, con esperienze di tutto rilievo alle spalle sulle panchine di Lazio e Bologna, forse bruciato troppo presto da una piazza feroce come quella della Milano sponda nerazzurra, ultima tappa prima di approdare alla Viola. Eppure Pioli non si è dato per vinto, si è rimboccato le maniche e ha accettato un incarico non privo di insidie: la piazza è da mesi apertamente schierata contro la proprietà, e le partenze di giocatori come Gonzalo Rodriguez, Bernardeschi, Vecino, Borja Valero ed Ilicic non hanno certo rinsaldato i rapporti. Alla guida del mercato è tornato il sempre verde Pantaleo Corvino, che con un budget ridotto all’osso ha costruito una squadra fresca e di ottimi prospetti, come quelli di Pezzella e Simeone, sui quali si erano già posati gli occhi di diverse big italiane ed europee.
Assieme ad alcune scommesse di futuri crack – Gil Dias e Zekhnini su tutti – che da sempre fanno parte del modo di lavorare del ds salentino, si è puntato su giocatori di sicuro affidamento come Thereau, Eysseric, Veretout e Benassi, riuscendo anche a confermare pedine importanti come Badelj, Astori ed il gioiellino Chiesa.

Inoltre, per chi deve fare i conti a fine sessione di mercato, l’aspetto forse più interessante è quello del bilancio: la Fiorentina ha incassato 111 milioni, spendendone 72 per acquistare 18 nuovi giocatori il che, considerate le cifre monstre spese quest’estate, ha del miracoloso. Inoltre, il monte ingaggi dei viola è passato dai 44 milioni della stagione precedente ai 35 di quella attuale, diminuendo quindi di quasi un quarto il totale percepito dai giocatori.

Riprendendo le parole del tecnico, questa è una squadra che dovrà “lavorare per non soffrire“. Probabilmente i primi risultati si vedranno non prima della prossima stagione. Molti giocatori potranno prendere confidenza con il calcio italiano, ed i tanti diamanti presenti in squadra dovranno essere sgrezzati con il lavoro e la fatica quotidiana. Le prospettive sono rosee, ma passerà del tempo prima di raccogliere i frutti. Con buona pace dei tifosi più intransigenti.

Gianluca Notari

Studio ed organizzazione: quando i soldi non scendono in campo

Gianluca Notari – Quante volte si è detto “senza i campioni non si vince“? A chi è appassionato di calcio, questa frase non risulterà di certo nuova. Le vittorie si ottengono con i grandi giocatori, ovvio, nessuna squadra scarsa ha mai vinto nulla. Eppure, non tutte le squadre possono avere le rose di Real Madrid, Manchester City e Bayern Monaco. Le squadre di minore cabotaggio devono arrangiarsi. Non c’è altro da fare.

Eppure, non sono sempre le squadre di maggior talento, o quelle che spendono di più sul mercato, a vincere titoli e a raggiungere traguardi importanti. Ne sa qualcosa il Milan, esempio ultimo di squadra spendacciona e perdente. Ma non si senta solo, perché il diavolo è in buona compagnia. Per anni campagne acquisti faraoniche di squadre come il Malaga, il Paris Saint Germain o lo stesso Manchester City hanno dimostrato che i soldi contano, certo, ma fino ad un certo punto. La differenza, benché se ne dica, la fa l’organizzazione. “La potenza è nulla senza il controllo” recitava qualche anno fa una nota pubblicità di pneumatici: se non è un concetto buono aprioristicamente e universalmente, lo si può di certo applicare al calcio. Nell’era degli iPad, delle stats, del mental coaching e dei match analysts, l’organizzazione di gioco, scandagliata e sviluppata in ogni più piccolo particolare, è quantomai necessaria. Il campione – o i campioni – presi da sé possono portare qualche risultato, certo, ma senza una buona organizzazione ed un buono studio delle metodologie di gioco, non si costruisce nulla di duraturo.

A conferma di ciò c’è l’assurdo caso del Monaco: la squadra del principato, nel 2011, fu acquistata da Dmitry Rybolovlev, ricco magnate russo che, dopo aver riportato in Ligue 1 la squadra monegasca, investe sul mercato fiumi di euro, acquistando giocatori come James Rodriguez, Falcao, Kondogbia e Joao Moutinho. Nonostante i buoni risultati – un secondo e due terzi posti in campionato – i traguardi raggiunti sono ben oltre sotto le aspettative e questo, insieme a problemi di natura personale incorsi negli anni, costringono il magnate russo ad un forte ridimensionamento. Vengono ceduti diversi giocatori, come Ocampos, Carrasco e lo stesso Kondogbia, nel tentativo di rientrare un po’ in un investimento che, fino a quel momento, si era dimostrato fallimentare. Così, la società è costretta a rimpinguare il proprio organico promuovendo giocatori dal settore giovanile o comprando giovani dalle belle speranze, politica questa in totale rottura con le campagne acquisti in pompa magna degli anni precedenti. Nel frattempo, però, sulla panchina del Monaco si siede un tecnico sconosciuto ai più, che pur avendo ottenuto ottimi risultati con il Braga e lo Sporting Club de Portugal, era rimasto senza panchina: Leonardo Jardìm. Una scommessa, niente più: ma il tecnico portoghese, in sole tre stagioni, vince un campionato francese – interrompendo la striscia del PSG – e conquista i quarti di finale di Champions League, perdendo contro la futura finalista Juventus. Jardìm ha dimostrato come, con il lavoro sul campo – poche idee, semplici come il 4-4-2 utilizzato in campo, ma chiare – ed un ottimo lavoro di scouting – in patria prima, nel resto d’Europa e del mondo poi – si possono raggiungere risultati ed obiettivi perseguiti per anni, senza successo, sprecando inutilmente milioni su milioni.

Alisson, Manolas, Moreno, Fazio e Juan Jesus: questi 5 nomi sono, ad oggi, la migliore difesa possibile che si può trovare in Italia in questo momento. Certo, nel conteggio dei gol presi manca una gara insidiosa come quella di Genova contro la Sampdoria, e si, la difesa non la fanno solo i difensori ma è la squadra intera a lavorare in transazione difensiva. Ma i numeri questo dicono, e i numeri non mentono mai. 3 su 5 non sono certo dei campioni, due forse lo sono – o comunque sono più vicini al “pianeta campioni” rispetto agli altri – ma sta di fatto che il calcio a livello europeo e mondiale sa offrire certamente di meglio. L’organizzazione però, come abbiamo visto, non si compra sul mercato. La si studia, ci si lavora, si sbaglia e si corregge. Non si compra. Eusebio Di Francesco questo lo sa, lo sa fare e gli riesce anche molto bene. A discapito dei molti detrattori di inizio stagione, ora il suo carro è pieno di gente, tanta, forse troppa, che fa festa e lo venera esaltandone le qualità. Ma in fondo, tra le molteplici qualità che un allenatore può avere, ce n’è una fondamentale, senza la quale non si può fare questo mestiere: sapere allenare. E Di Francesco, in questi primi mesi di Roma, ha dimostrato di saper allenare davvero bene. Amen.

Gianluca Notari

Roma e Juventus sulla stessa barca…barcollante

Gianluca Notari – La Roma e la Juventus. Una rivalità ultratrentennale, fatta di sfide politiche e sociali prima che sportive per molti anni, meramente calcistiche, ma ugualmente intense, negli ultimi periodi. Da più parti, nei giorni scorsi, si è incensato il grande sabato di calcio di questo weekend: i bianconeri che sfidano l’ottima Lazio di Inzaghi, i giallorossi che affrontano il Napoli dei marziani. E le prime due della classe dello scorso anno, sconfitte entrambe. A -5 dalla vetta i piemontesi, addirittura a -9, ma con una partita da recuperare, i capitolini. Insomma: Juve e Roma sulla stessa barca, situazione figlia di scelte societarie discutibili per entrambi i club, cornute prima e mazziate poi da un Napoli che sembra inarrestabile.

La Juventus, dopo la finale persa di Cardiff contro il Real Madrid, è entrata in un tunnel da cui non sembra riuscire a venir fuori. I contrasti nel gruppo, con l’allenatore e tra i giocatori stessi – da cui poi la partenza di Bonucci, direzione Milan – sono stati resi noti da più spifferi usciti fuori dalle mura dello spogliatoio. In particolar modo durante la finale di Champions League, quando tra il primo ed il secondo tempo sembra esser scoppiato il parapiglia tra il difensore viterbese ed alcuni compagni, Dybala su tutti. E se c’è una cosa che ha contraddistinto la Juventus in tutti questi anni di predominio, è stata certamente il collettivo. Se quello viene meno, sono guai. Inoltre, se ci si mette una gestione del mercato quantomeno rivedibile, che le cose possano non andare per il verso giusto è la prima logica conseguenza. Salutati Bonucci e Dani Alves, Marotta e Paratici hanno investito su Howedes e De Sciglio, che fino ad ora, complici anche diversi infortuni, non hanno praticamente mai visto il campo. In più, per il ruolo di sostituto di Alex Sandro sulla sinistra è rimasto solamente Asamoah, dato già per partente durante l’estate e rimasto solo perché non è arrivato un suo sostituto all’altezza. Grossi investimenti invece sono stati fatti nel reparto avanzato, ma Douglas Costa e Bernardeschi sembrano ancora non decollare. Ciliegina sulla torta, il caso Higuain: nel vocabolario italiano accanto alla voce “gol” c’è la sua faccia, ma inspiegabilmente quest’anno l’argentino non riesce ad andare a segno con continuità, finendo anche in panchina in un paio di occasioni.

E poi c’è la Roma. Cambio di allenatore, via diversi giocatori dal peso non indifferente, molti acquisti, ma molta confusione. La novità migliore rispetto alla scorsa stagione è senza dubbio quella che riguarda la rosa: i giallorossi ad oggi sulla carta sono una squadra completa, profonda e ricca di profili giovani ed interessanti, così come giovane ed interessante è l’allenatore. Però, giovani ed interessanti difficilmente sono sinonimo di vittoriosi. Anzi. La scelta di Di Francesco ricorda vagamente quella che fu di Luis Enrique: allenatore giovane che ha in testa un calcio fresco e dinamico, ma con poca esperienza a certi livelli sulle spalle ed un carisma tutto da testare. Fino ad oggi il tecnico abruzzese si barcamenato con discreta sicurezza tra le difficoltà, ed è chiaro che senza aver mai avuto tutta la rosa al completo, tra cui i due acquisti più importanti della campagna di mercato estiva – Schick e Karsdorp-, il lavoro si complica non poco. Il problema, se mai di problema si può parlare, è a monte. Di Francesco ha bisogno di tempo, molto tempo, per far assimilare ai suoi giocatori un’idea di calcio complessa e dispendiosa. Ma la Roma e i romanisti di tempo ne hanno buttato fin troppo, inseguendo sogni ed icone totemiche piuttosto discutibili. Il progetto Di Francesco poteva essere sposato da una squadra che ha vinto negli anni passati, o che abbia necessità di ricostruire dopo un qualche tipo di cataclisma. Ma la Roma di Spalletti non era nulla di tutto ciò. Era una squadra forte, certamente perfettibile, ma che con 87 punti ha fatto meglio di ogni altra Roma nella storia del club. Serviva un passo in avanti per raggiungere una tanto agognata vittoria, e non un progetto in cui credere. La sola parola ‘progetto‘ scatena nel tifoso giallorosso orticaria, secchezza della fauci e dolori articolari. Probabilmente il futuro di Di Francesco e della Roma sarà roseo, ma Pallotta&co. dovrebbero tenere a mente che esiste anche un presente, in cui i tifosi continuano a sperare.

Insomma, Roma e Juventus a braccetto nella malinconia di questo turno di campionato, lontane dalla vetta e lontane dai programmi di inizio stagione. Unite ma divise da rivalità ataviche, e fa specie dirlo ma dispiace quasi vedere una Juventus in difficoltà. O per meglio dire, dispiace che non sia stata proprio la Roma la causa di queste difficoltà, poiché in una fase di transizione anch’essa.
Non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia? Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via” canta Guccini in “Autogrill“. E come quando si è in un momento di difficoltà e si crede che un viaggio possa rimettere a posto le cose, così Roma e Juventus si rituffano in Europa con gli impegni di Champions, per provare a non pensare ad un turno di campionato che ha tolto loro il sorriso e qualche certezza.

Gianluca Notari

L’addio di Totti, il record di punti e i gol di Dzeko: un anno da ricordare

Gianluca Notari – Rimpianto, delusione, dolore. Vista così, la stagione giallorossa sembra essere un disastro totale. Invece abbiamo visto e ammirato per tutto l’anno una squadra forte e spettacolare, che ha rovinato tutto in sole tre maledette partite giocate nell’arco di otto giorni. Ottantasette punti, record storico del club, Dzeko capocannoniere di campionato e di Europa League, Juventus distante solo quattro punti e tante, tante partite vinte in modo convincente, lasciando ai tifosi la speraranza di qualcosa che forse era insperabile.

Eppure il rimpianto c’è, eccome se c’è. Dalla sciagurata partita di ritorno con il Porto al derby di Coppa Italia perso, passando per Lione e per una manciata di partite in campionato, il sentore che qualcosa di grande questa stagione poteva esser fatto rimane. Rosa corta, scelte sbagliate, calendario infernale e forse “qualcuno che non ha remato dalla parte giusta”, parafrasando l’ormai ex tecnico Spalletti.

Forse tutte o nessuna di queste motivazioni sono quelle giuste, ma sta di fatto che, al sesto anno di presidenza americana, la Roma si trova nuovamente con nessun trofeo da alzare al cielo. Ed è questa forse la delusione più grande. Un allenatore preparato, la Juventus indebolita dalle partenze di Morata e Pogba, l’assenza di big europee in Europa League: tre fattori che a settembre promettevano bene, e che lasciavano sognare gli affezionati romanisti.

Infine, per non farci mancare proprio nulla, la beffa oltre al danno: l’addio del capitano, la più grande icona della storia giallorossa, grande forse più della stessa Roma. Le lacrime di quel 28 maggio rimarranno impresse in ogni tifoso romanista, dal più piccolo al più grande, e le parole di quella lettera scolpite nella mente e nel cuore di tutti.

Oltre all’assenza iconica del Capitano, il prossimo anno la nuova Roma sarà ancora più nuova: il nuovo ds già è ormai cosa fatta, con lo spagnolo Monchi chiamato a prendere in consegna il lavoro di Sabatini, il quale si è dimostrato sempre all’altezza di creare una rosa competitiva, ma tenendo bene in mente i conti societari. Inoltre ci sarà probabilmente un nuovo allenatore, con Spalletti sempre più in rotta di collisione con l’ambiente Roma. Infine un nuovo capitano: su questo, però, le certezze già ci sono. Se esiste un uomo in grado di fare le veci di Francesco Totti, quello è sicuramente Daniele De Rossi. È intorno a lui che la società costruirà la nuova squadra.

Una stagione da ricordare, quindi, e da celebrare, anche. Ma Roma e la Roma hanno fame di vittoria e anche quest’anno, come ogni anno, speriamo che il prossimo sia quello buono.

Gianluca Notari