Viaggiando nella Hall Of Fame: Cafu, il Pendolino tricolore

Pagine Romaniste (F. Belli) – 7 giugno 1970, Messico, Guadalajara. In un campo investito da un caldo feroce, l’Inghilterra campione del Mondo in carica sfida la formazione più forte di sempre, il Brasile di Pelè. Quel Brasile che in finale annienterà l’Italia 4-1, la stessa squadra reduce dalla partita del secolo con la Germania OvestQuel 7 giugno però del secolo c’è solo la parata: sull’1-0 Pelè riceve un cross laterale, stacca di testa e il portiere inglese Gordon Banks si inarca colpendo la palla il giusto per farla volare alta sopra la traversa. Nel frattempo, a migliaia di chilometri verso sud, a San Paolo un’infermiera cerca di velocizzare il parto di un bimbo: sta vedendo la partita e non vuole perdersi il finale. Quel bimbo è Marcos Evangelista de Moraes, meglio noto come CafuE’ un po’ un’abitudine tutta brasiliana avere un nome intellegibile e poi cambiarlo con un altro che non c’entra niente. Il “piccolo Pelè”, come lo chiamava quel 7 giugno l’infermiera, decide di usare lo pseudonimo di Cafu perché l’idolo del padre era Cafuringa, discreta ala destra del Fluminense. La sua storia si incrocia con quella della Roma grazie all’ottavo re Paulo Roberto Falcao, che negli anni ’90 suggerisce più volte ai giallorossi il suo nome e quello di un altro brasiliano, Zago. Viene acquistato nel 1997 all’inizio del ciclo Zeman. E’ un terzino destro caparbio, inarrestabile grazie alle sue incursioni fulminanti sulla fascia. Liedholm disse di lui: “Ha la stessa velocità di Rocca e la stessa capacità di portare la palla fino in fondo”. Inutile dirlo, è perfetto per il modulo boemo attacco-attacco-attacco. Ma sarà altrettanto perfetto per lo stile più concreto e meno spettacolare di Capello, come certifica la sua insostituibilità nella stagione dello scudetto.

La doppietta alla Fiorentina e il triplo sombrero a Nedved

I tifosi lo amano e lo chiamano “Pendolino” perché sulle fasce va come un treno, come quello brevettato dalla Fiat appunto. Due sono gli episodi più celebri del suo trascorso in giallorosso: il primo è la doppietta alla Fiorentina. Stagione 1999-2000, i viola di Batistuta in lotta scudetto e imbattuti da 20 mesi in casa affrontano la Roma. Il Pendolino diventa bomber e segna due gol uno più bello dell’altro. L’altro episodio, ovviamente, è datato 17 dicembre 2000. La Lazio campione d’Italia affronta la Roma, che si accinge a diventare campione da li a pochi mesi. Sullo 0-0 Cafu riceve sulla destra un passaggio alto di Zago che rischia di diventare preda di Nedved. C’è da trovare un modo per liberarsi di quella pressione ingombrante. Cosi con il solito estro tutto brasiliano si inventa il triplo sombrero senza far toccare mai palla a terra. Una giocata di una classe sopraffina che solo un piccolo Pelè poteva fare. Qualche anno dopo ci sarà anche un incomprensione. Il Pendolino vuole il rinnovo ma la Roma si impunta alle sue condizioni: è rottura. Il brasiliano dirà: “Non voglio fare la fine di Garrincha (ex leggenda brasiliana caduta in miseria, ndr), i soldi sono una cosa importante sopratutto a fine carriera”. Il brasiliano va al Milan e l’anno successivo, di ritorno all’Olimpico, viene subissato dai fischi. Una ferita che verrà definitivamente rimarginata col tempo. Sopratutto quando c’è di mezzo la morte di un figlio. A settembre è morto per un infarto il figlio Danilo, e tutti i romanisti si sono di nuovo stretti attorno al loro Pendolino. Perché quel treno, nel viaggiare lontano, ci ha fatto sognare. – Pagine Romaniste (F. Belli).

La meglio gioventù – Lorenzo Pellegrini: Di Francesco come mentore e la benedizione del 10

(S.Valdarchi) – “Francesco è Francesco e come lui non ne nascerà un altro. Totti è Totti, io sono Lorenzo. Cerco solo di essere il miglior Lorenzo da mettere a disposizione della Roma”. Così, qualche giorno fa, Lorenzo Pellegrini rispondeva a chi accennava ad un paragone tra lui e lo storico numero 10. Un parallelo spesso incentivato dalle dichiarazioni di Totti, che non ha mai perso occasione per elogiare le qualità del classe ’96, ma citando il centrocampista “Totti è Totti”, usarlo come termine di paragone può solo far male a colui il quale viene accostato a Sua Maestà. Fatta questa breve e doverosa introduzione, possiamo procedere con il racconto della storia di Lorenzo Pellegrini, ragazzo cresciuto al Fulvio Bernardini e che nelle ultime tre stagioni si è ritagliato un ruolo da protagonista nella Roma.

Primavera ed esordio in Serie A

La prima volta che Pellegrini è entrato nel cancello di Trigoria era il 2005, alla tenerà età di 9 anni. Considerato da sempre un ottimo prospetto, a 12 anni la sua carriera è stata messa a rischio. Durante il suo periodo nei Giovanissimi, allenati da Vincenzo Montella, gli fu diagnosticata un’aritmia cardiaca che gli tolse per un periodo l’idoneità sportiva. Rientrato l’allarme dopo 4 mesi, ha proseguito la sua trafila nelle giovanili romaniste, fino ad approdare nel 2013 in Primavera. Ha giocato nella formazione di De Rossi per due stagioni, indossando la fascia di capitano nel 2014/15. Due annate in cui il centrocampista ha raccolto 57 presenze e 13 gol, trovando anche il tempo per debuttare tra i professionisti.

Il 22 marzo del 2015, sul sintetico del Dino Manuzzi di Cesena, Lorenzo Pellegrini muove i suoi primi passi nella Serie A, entrando nel corso della ripresa al posto di Salih Ucan. L’esordio in una partita complicata e non vivace, risolta a pochi minuti dalla fine dal gol di De Rossi. Quella rimane l’unica sua presenza con la Roma, prima del suo definitivo ritorno a Trigoria nell’estate del 2017.

Il Sassuolo ed il rapporto con Di Francesco

Una volta terminato il campionato 2014/15, infatti, Pellegrini viene ceduto al Sassuolo (diritto di recompra in favore della Roma valido per due anni), squadra rivelazione della stagione precedente nella quale si è guadagnata la qualificazione in Europa League. Nello scacchiere tattico di Eusebio Di Francesco, trova spazio come mezzala nel centrocampo a tre ed in Emilia avviene la sua consacrazione nel massimo campionato. Oltre ad acquisire esperienza in mezzo al campo, migliora il suo rapporto con la porta, grazie agli inserimenti tra le linee caratteristici del modo di giocare di Di Francesco: 11 reti e 8 assist in maglia neroverde.

Il tecnico abruzzese rappresenta per il centrocampista classe ’96 un vero e proprio mentore, capace di tirargli fuori il meglio. Proprio per questo l’allenatore, una volta lasciato il Sassuolo ed approdato sulla panchina della Roma, pretende uno sforzo economico dalla società (circa 10 milioni di euro) per averlo in rosa. Lo spazio a Roma però si riduce, vista la concorrenza in quel ruolo di calciatori come Nainggolan e Strootman, ma Pellegrini è in grado di aspettare la giusta occasione per prendersi la scena.

Scusate le spalle

Capita spesso e volentieri che il destino della carriera di un calciatore venga modificato da una sola partita, da una giocata. Il percorso di Lorenzo Pellegrini con la Roma ha avuto la stessa sorte e il crocevia è rappresentato dal derby d’andata dello scorso campionato. Dopo un primo anno passato da sostituto eccellente, nella prima parte del 2018/19 il numero 7 non viene considerato come prima scelta da Di Francesco. Con l’inizio delle competizioni però, arrivano prestazioni grigie da parte della squadra, portando il tecnico abruzzese a passare dal 4-3-3 classico ad un 4-2-3-1. Una delle prime uscite in cui viene provato il nuovo schieramento è proprio contro la Lazio, nella stracittadina del 29 settembre. Nzonzi e De Rossi in mediana, con Pastore alle spalle di Dzeko. Il flaco gioca bene, ma a metà del primo tempo incappa in uno dei soliti problemi muscolari, che lo porta ad uscire anzitempo. Al suo posto, entra proprio Pellegrini, ma invece di un ritorno al centrocampo a 3, Di Francesco lo lancia come trequartista. Giocate di qualità ed un gol, di tacco, con tanto di esultanza polemica rivolta a chi in quel momento criticava il suo rendimento. Quel giorno d’inizio autunno, si è scoperto un nuovo Pellegrini, ottimo rifinitore negli ultimi 30 metri.

10 in campo, 7 sulle spalle

Tranne che per una breve parentesi ad inizio anno nella quale Fonseca lo aveva provato davanti alla difesa, scelta dovuta soprattutto al ritardo di condizione di Jordan Veretout, il centrocampista romano non ha più abbandonato il ruolo di trequartista, specializzandosi come assist-man. Oltre agli 11 assist, Pellegrini ha fornito ai compagni 40 passaggi chiave, rimanendo in cima a questa speciale classifica nella rosa della Roma, nonostante il lungo stop (circa due mesi) dovuto alla frattura al metatarso. Nel 4-2 rifilato dai giallorossi al Sassuolo, Lorenzo è stato senza alcun dubbio il migliore in campo, confezionando tre assist ai compagni, per i gol di Cristante, Mkhitaryan e Kluivert. Una gara che ha portato Francesco Totti a dichiarare: “Sembrava che avesse la maglia numero 10 sotto alla sua”. Ma a chi chiedeva se sognasse di indossarla un giorno, l’attuale vice-capitano romanista ha risposto: “Ho già la 7 di Bruno Conti, per il momento va bene così…”.

(S. Valdarchi)

Le imprese della Roma in Europa: il 3-0 al Barcellona, due anni dopo

Alice Dionisi – Col fiato sospeso per 14 minuti. Il 10 aprile di due anni fa, chi su un seggiolino dello Stadio Olimpico, chi davanti ad uno schermo, attendevamo il triplice fischio di Turpin. Qualche settimana prima, a sorteggi conclusi, sui quotidiani spagnoli si leggeva: “La fortuna sorride al Barça. Erano quelli che tutti volevano”, “Un bombon”. Il risultato dell’andata al Camp Nou sembrava dargli ragione, un 4-1 bugiardo che non rispecchiava l’impegno dei giallorossi in terra catalana. Complici la gestione arbitrale di Makkelie e le sfortunate deviazioni in porta di De Rossi e Manolas, la qualificazione per le semifinali di Champions League sembrava una pratica già archiviata. La giustizia divina, però, quel 10 aprile indossava una maglia rossa.

 

Di Francesco schiera la sua formazione: Alisson tra i pali, davanti al brasiliano la difesa a 3 composta da Fazio, Manolas e Juan Jesus, Kolarov e Florenzi sulle fasce. A centrocampo, insieme a capitan De Rossi ci sono Nainggolan e Strootman, davanti a loro Schick -al suo esordio in Champions League- e Dzeko. Valverde risponde con Ter Stegen in porta, Semedo, Piqué, Umtiti e Jordi Alba dietro a Sergi Roberto, Busquets, Rakitic e Iniesta, in attacco il duo Messi-Suarez. Nonostante i tre gol di scarto, i blaugrana non risparmiano i pezzi grossi. Gli spagnoli hanno perso solo una delle ultime 48 partite in stagione, ma per spaventare i tifosi giallorossi ci vuole molto di più: lo Stadio Olimpico è sold out. Chi tifa Roma è caratterizzato da un innato pessimismo, per il quale non pensi che certe cose possano accadere anche a te, ma quella sera ci abbiamo creduto tutti.

 

Fischio d’inizio. Il Barcellona all’inizio ci prova, un paio di giri di lancette ed iniziano già le prime palpitazioni. L’importante è non prendere gol. Alisson è sicuro e i blaugrana ci mettono del loro, senza mai essere incisivi. Scriverlo due anni dopo però è sicuramente più facile. Passano appena sei minuti e De Rossi indirizza con grande precisione il pallone che finisce sui piedi di Dzeko. Il bosniaco riesce a districarsi tra Umtiti e Jordi Alba, destro-sinistro e compie il primo atto dell’impresa giallorossa. 1-0 e l’Olimpico esplode, è un grido di gioia, ma con un fondo di timore. È ancora troppo presto. La Roma prende confidenza e continua a provarci. Schick sfiora il raddoppio, poi Dzeko mette alla prova i riflessi di Ter Stegen. Il portiere tedesco si fa trovare pronto, ma l’occhiata che lancia ai compagni di squadra sembra quasi dire “Ma devo fare tutto io?”. Tra un tentativo e l’altro, Turpin manda le squadre negli spogliatoi sull’uno a zero, la strada è ancora lunga.

I nomi dei protagonisti di questa storia sembrano essere stati scritti dal destino. Nel secondo tempo Piqué atterra Dzeko in area, calcio di rigore. Il bosniaco va dal capitano con un pallone che pesa come un macigno. Un bacio veloce sulla guancia, carico di tutte le nostre speranze. Daniele, pensaci tu. Fischio. Silenzio. Sembra una scena da film, tra il rallenty, i battiti rumorosi del cuore e il fiato sospeso. Ter Stegen intuisce da che parte buttarsi, ma la palla va in rete. Boato. De Rossi firma il 2-0, si fa perdonare l’autogol al Camp Nou e in quel momento la speranza diventa quasi certezza, è la nostra serata. Di Francesco dalla panchina invita tutti a mantenere la calma, ma l’atmosfera ormai è elettrizzante. Può succedere davvero, l’impossibile diventa man mano reale. Il Barcellona cerca di gestire il risultato, ma il pressing della Roma si fa sempre più costante, alla ricerca del terzo gol. Ter Stegen prova a salvare i suoi, nega il gol a Nainggolan ed El Shaarawy, entrato al posto del belga ad un quarto d’ora dalla fine. Mancano 8 minuti alla fine del tempo regolamentare, ma i giallorossi non mollano. 81’42’’ sul cronometro, Cengiz Under è pronto dal dischetto per il calcio d’angolo. Manolas è sul primo palo e stavolta non c’è nessun rallenty. Succede tutto velocemente, sono attimi di confusione. È dentro, sta succedendo davvero. Il greco corre sotto la tribuna, travolto dai compagni di squadra. L’emozione trova voce nei tifosi all’Olimpico, in quelli che gridano, in quelli che piangono, in chi si abbraccia e salta. La Roma trova il meritato 3-0, “The unthinkable unfolds before our eyes” commenta Peter Drury, l’impensabile che si svolge davanti agli occhi increduli del telecronista.

 

8 più recupero alla fine. 14 minuti in cui il Barcellona ci prova ma “Questa notte è ancora nostra”. Messi ci prova, ma per una sera la Pulce è davvero piccola e i lupi sono enormi, giganti. Nainggolan è in piedi a bordo campo, insieme a Gerson e Schick aspetta la fine della partita, il settore ospiti è incredibilmente silenzioso.
Nel pieno del sentimento romanista però, ci siamo aspettati anche un gol all’ultimo. Un gol immeritato e fatale, un gol pieno di romanismo. Quel gol però non è arrivato e al suo posto c’è stato Turpin. Il fischio più bello di sempre.
Un solo aggettivo: magica.
Alice Dionisi

Le imprese della Roma in Europa: Barcellona, il precedente

Alice Dionisi – Quando nel 2018 la Roma si preparava ad affrontare il Barcellona nella sfida di ritorno dei quarti di finale di Champions League i più romantici, quelli che ci hanno sempre creduto, si sono detti “È già successo”. Il precedente c’era e risaliva al 2002, quando i giallorossi, allenati da Fabio Capello e reduci dalla vittoria di tricolore e Supercoppa italiana, affrontarono gli spagnoli nella massima competizione europea. I blaugrana uscirono dal campo dello Stadio Olimpico sconfitti 3-0, permettendo alla formazione di casa di conquistare momentaneamente la vetta del girone D, grazie al pareggio tra Galatasaray e Liverpool. Le parole di Chitarra Romana campeggiavano in curva sud, facendo da cornice ad una notte da campioni: “Sotto un manto di stelle Roma bella m’appare”.

DOPPIO GIRONE

La formula per la Champions League, allora, era quella del doppio girone. Nel primo la Roma affrontò il Real Madrid (che poi vinse la competizione per la nona volta), l’Anderlecht e il Lokomotiv Mosca, classificandosi seconda alle spalle dei Blancos. Nella seconda fase, che veniva disputata al posto degli ottavi di finale, le 16 squadre rimanenti si affrontavano in quattro ulteriori gironi e le migliori due di ciascuno accedevano ai quarti. I giallorossi pescarono il Barcellona, mai affrontato prima, il Liverpool e il Galatasaray, portando a casa tre pareggi nelle sfide di andata. Dopo l’1-1 al Camp Nou (gol di Panucci e Patrick Kluivert), 70.000 tifosi si presentarono allo Stadio Olimpico per sostenere i campioni in carica italiani. Gli 11 schierati da Capello furono Antonioli in porta, Zebina, Samuel, Panucci, Cafu, Emerson, Lima, Candela, in attacco Totti, Batistuta e Delvecchio, con la partecipazione anche di Montella, Tommasi e Cassano, subentrati nel secondo tempo. Contro di loro Reina, Pujol, De Boer, Christanval, Sergi, Gerard, Luis Enrique (che dieci anni dopo verrà accolto da allenatore in quello stesso stadio), Cocu, Motta, Rivaldo e Kluivert.

45 MINUTI

Durante la prima frazione di gioco entrambe le squadre mantennero un ritmo basso, senza mai essere letali. Quando l’arbitro danese Nielsen mise bocca al fischietto le formazioni andarono negli spogliatoi sullo 0-0. Durante l’intervallo iniziò a scaldarsi Vincenzo Montella, spinto dagli incitamenti del pubblico sugli spalti. Nella ripresa l’aeroplanino prese il posto di Marco Delvecchio e l’attacco della Roma iniziò ad essere più pericoloso, pressando la difesa spagnola. Emerson sbloccò il risultato al 61’, grazie alla deviazione fortuita di un tiro di Candela che spiazzò Reina tra i pali, “Ho avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto” commentò in seguito il brasiliano. Preso il via, la squadra continuò ad attaccare senza sosta. Soltanto un minuto dopo l’arbitro annullò un gol di Delvecchio che si trovava in fuorigioco, ma i giallorossi non si lasciarono abbattere. Al 74’ l’assist di Francesco Totti aprì al destro di Montella, 2-0. Il numero 10 continuò a provarci, sfiorando il palo in contropiede poco prima di lasciare il posto a Cassano. Il secco 3-0 finale venne firmato sullo scadere dei minuti regolamentari da Damiano Tommasi, entrato al posto di Batistuta, tra i cori ormai incontenibili dei tifosi. La Roma volò e, per una notte, poté godersi la vetta della classifica. Il sogno purtroppo si interruppe ben presto, nelle due gare restanti arrivarono un pareggio e una sconfitta per 2-0 in casa del Liverpool. Ad accedere ai quarti furono, insieme agli spagnoli, proprio i Reds, a pari punti con i giallorossi ma forti dello scontro diretto. Una presenza ricorrente quella degli inglesi, mai felice, ma allo stesso tempo mai in grado di cancellare la gioia di una vittoria, soprattutto un 3-0 al Barcellona.

Alice Dionisi

 

Viaggiando nella Hall Of Fame: Damiano Tommasi, l’anima candida che ha trasformato i fischi in applausi

Pagine Romaniste (F. Belli) – Per Capello in quella stagione è il giocatore più importante della squadra. Più di TottiMontella e Batistuta. La stagione, ovviamente, è quella del terzo scudetto e il soggetto è Damiano Tommasi. Meglio conosciuto come “Anima candida” per la sua estrema generosità e sincerità. Viene acquistato dalla Roma nel 1996, dopo esser stato uno dei protagonisti della promozione del Verona dalla B. Inizia tra gli applausi, che in breve si tramutano in fischi. È la stagione di Carlos Bianchi e quando le cose vanno male serve un capro espiatorioMite, silenzioso, sincero, tutte caratteristiche che lo portano a essere la perfetta vittima sacrificale di una stagione maledetta. Ma quei fischi tornano presto, di nuovo, applausi. Non per delle belle parole dispensate nel verso giusto, non è un comportamento da “anima candida” quello, ma grazie alle prestazioni sul campo. “Tutti sono utili, nessuno è indispensabile” dice un proverbio. Sbaglia: Damiano Tommasi era l’emblema dell’indispensabilità. Fino a quella maledetta amichevole d’inizio estate.

L’infortunio e il ritorno in quella ultima, indimenticabile, stagione d’addio

Era il 2004 e i giallorossi affrontano lo Stoke City. Un certo Gerry Taggart, che Massimo Marianella non esiterebbe a chiamare un criminale prestato al calcio, si rende protagonista di un contrasto violento. Cattivo, brutto, esagerato per una partita di campionato figurarsi per un’amichevole. Il responso è al limite del drammatico: rottura del crociato anteriore, rottura del crociato posteriore, del collaterale mediale esterno e interno, dei due menischi, infrazione dei condili e, dulcis in fundo, del piatto tibiale. Un elenco infinito che porta a una sola estrema conseguenza: appendere gli scarpini al chiodo. Ma non ci riesce. Non lui, non Damiano Tommasi. Si rimette in moto e 15 mesi dopo è ancora “lì, sempre lì. Lì nel mezzo a coprire certe zone e a giocare generoso” come direbbe Ligabue. Per di più gioca a 1500 euro al mese. Perché? L’anno precedente, quello dell’infortunio, era in scadenza e ha deciso di firmare al minimo sindacale pur di rimanere nella Capitale. Non da tutti in un calcio dove protagonisti sembrano sempre meno calciatori e più Paperon de’ Paperoni. Anzi da nessuno. Anni dopo ricorderà quella stagione come la più bella della sua carriera, più bella anche di quella del tricolore. La sua più grande sfida, vinta sul campo passo dopo passo. Poi andrà al Levante, al Qpr, in Cina e persino a San Marino. Ma il suo cuore resterà sempre lì, nello stesso posto dove tutto sembrava perduto dopo che le gambe gli avevano detto addio. – Pagine Romaniste (F. Belli).

Viaggiando nella Hall Of Fame: Carlo Ancelotti, una vita da mediano. Una vita da Carletto

Pagine Romaniste (F. Belli) – “Una vita da Mediano, a recuperar palloni. Nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni”, cantava LigabueUna vita da Carletto, anche se non è sempre stato un mediano. Ha iniziato giovanissimo centravanti, salvo poi spostarsi sulla trequarti quando era al Parma. E’ un suo gol alla Triestina nello spareggio di C1 che permette ai crociati di tornare in Serie B. Quel giorno, al Menti, c’era gran parte dello stato maggiore della Roma: il presidente Dino Viola, l’allenatore Niels Liedholm e il direttore sportivo Luciano Moggi (proprio lui, quello di Calciopoli). L’ingegnere vuole vincere la concorrenza dell’Inter e per farlo dà carta bianca al direttore sportivo che alla fine riesce a portarlo nella Capitale. Sarà l’inizio di una favola. Subito il barone lo arretra a mediano nella posizione in cui, nonostante le difficoltà iniziali, brillerà fino a fine carriera. Una vera e propria intuizione tattica che consente alla Roma di sfruttare al meglio le doti in interdizione e allo stesso tempo d’impostazione del “bimbo”, cosi chiamato per i tratti giovanili. S’innamora di Roma e i tifosi s’innamorano di lui, come testimoniato da quest’estratto del suo libro “Preferisco la Coppa”: “Roma città matta, Capitale del mio cuore. Di Milano non conosco niente, di Roma tutto. Lì ho imparato a vincere, anche se il mio rapporto disincantato nell’affrontare gli avvenimenti belli è strano: li ricordo poco. Nel calcio come nella vita ti restano addosso le delusioni, di cui però non ho tutta questa voglia di parlare”.

La finale col Liverpool, Roma-Lecce e la corte di Berlusconi

Perché ce ne sono state tante di delusioni, di partite che vorrebbero essere dimenticate in quegli 8 anni nella Città Eterna. Dalla batosta del primo infortunio che gli costerà il Mondiale di Spagna 82′ alla sconfitta in finale di Champions col Liverpool, dalle continue ricadute in campo a quel maledetto Roma-Lecce che vale uno scudetto perduto mentre aveva la fascia da capitano al braccio. Del resto Paulo Coelho diceva: “Impara dal contadino ad avere pazienza, a lavorare duramente e a non bestemmiare contro i temporali, perché sarebbe soltanto una perdita di tempo”. Ed è con questo spirito bucolico che Ancelotti affronta le difficoltà, proprio lui che è cresciuto contadino nelle campagne emiliano-romagnole. Alla fine se ne va al Milan perché a Roma più o meno tutti sono convinti che il meglio sia alle spalle, facendo scoppiare di gioia Sacchi e Berlusconi. Ma questa è un’altra storia. Dopo il ritiro ha promesso più volte di tornare a Roma, questa volta da allenatore, e i tifosi lo aspettano con fiducia. Non vedono l’ora di vederlo di nuovo da Pierluigi, a piazza De’ Ricci, com’era solito fare in quelle belle serate lontane, a mangiare un bel carpaccio di gamberi rossi o una tartare di tonno, specialità della casa. – Pagine Romaniste (F. Belli).

Le imprese della Roma in Europa: le goleade giallorosse. Dal 6-0 all’Hibernian al 7-1 al Kosice

Alice Dionisi – Per la maggior parte di noi, i ricordi calcistici più belli che abbiamo sono legati ad una vittoria considerata impossibile, un gol strabiliante o una trasferta con gli amici. Tra le cose che vorremmo scordare invece, una sconfitta pesante, un rigore sbagliato. Le partite terminate “tanto a poco” spesso -e purtroppo- rientrano nella seconda categoria. Le vittorie larghe, però, nella storia della Roma esistono. Partendo a ritroso dalle prime apparizioni europee, fino a le sfide più recenti, abbiamo ricordato alcune delle valanghe di gol giallorossi.

Anni ‘60

Di Roma-Hibernian ne avevamo già parlato qui. Nel maggio del 1961 i giallorossi affrontano gli scozzesi per lo spareggio della semifinale di Coppa delle Fiere, dopo aver rimediato due pareggi nelle gare di andata e ritorno (2-2 nel Regno Unito e 3-3 in casa). La terza volta è quella giusta, la squadra allenata da Alfredo Foni si presenta allo Stadio Olimpico la carica necessaria per strapazzare l’avversario. Pedro Manfredini impiega un solo minuto per finire sul tabellino dei marcatori, replica al 10’ e poi ancora al 35’ e al 57’. La partita finisce 6-0, a quelli del “Piedone” si aggiungono i gol di Menichelli e Selmosson, regalando a Roma la finale contro il Birmingham e, più avanti, la vittoria del trofeo. Due stagioni più tardi, i giallorossi devono affrontare i turchi dell’Altay nella gara di ritorno dei sedicesimi di finale della medesima competizione, dopo la vittoria per 3-2 in trasferta a Smirne. Sulla panchina torna a sedere Foni, subentrato dopo l’esonero di Carniglia. È record, la partita finisce 10-1. Sui giornali si legge “Grandinata romana”, è uno show a tinte giallorosse. Manfredini firma 4 gol, andando a segno ancora una volta dopo solo 60 secondi, l’argentino recita le parole “Apriti sesamo” e la porta avversaria si spalanca davanti alla formazione di casa. Altre 3 reti sono di Lojacono, ma si aggiungono alla festa anche Jonsson (con una doppietta) e Angelillo. I turchi escono travolti dal Flaminio, un risultato che, insieme al 9-0 alla Cremonese in campionato, ha il primato nel club per la maggior differenza reti.

Anni ‘90

Ottavi di finale di Coppa Uefa, anche di questa partita abbiamo già parlato, raccontando il cammino della Roma nella competizione durante la stagione 1990/91. I giallorossi, con Ottavio Bianchi al timone, affrontano i francesi del Bordeaux nella gara di andata. Rudi Völler, capocannoniere del torneo europeo, firma una tripletta in 40 minuti, accompagnata dalla doppietta di Gerolin per il 5-0 finale. 9 anni dopo, il 16 settembre 1999, sempre in Coppa Uefa, i giallorossi affrontano il Vitoria Setubal nella gara di andata del primo turno. L’allenatore questa volta è Fabio Capello e la Roma passeggia in tutta tranquillità allo Stadio Olimpico. Francesco Totti è squalificato, ma ci pensano i compagni di squadra a finire tra i marcatori al suo posto. Nell’arco di 4 minuti arrivano i primi 3 gol: al 12’ segna Aldair, al 14’ Montella e Aleničev al 16’. Il russo contro i portoghesi mette a segno 3 dei 4 gol totali segnati in maglia giallorossa in carriera. Trovano la porta anche Assunção e Delvecchio per una vera e propria “Giostra del Gol”, 7-0.

Duemila

Nell’anno del terzo scudetto, la Roma si trova ad affrontare il Nova Gorica nel ritorno del primo turno di Coppa Uefa, dopo il successo per 4-1 in Slovenia. Sul Corriere Dello Sport si leggono i complimenti: “10 e lode nel tiro a segno”. Samuel, Montella (doppietta), Delvecchio, Totti (doppietta) e Batistuta sono gli autori del 7-0 e il portiere Antonioli esce dal campo “senza voto”, spettatore non pagante. Nella gara di ritorno dei play-off di Europa League nel 2009 contro il Kosice, la Roma replica le 7 reti ai danni di una formazione slovena. Apre le danze Totti al primo minuto, raddoppia al 5’ e mette a segno la tripletta grazie ad un gol all’87’. Si uniscono a lui anche Guberti, Cerci, Menez e Riise. Concludiamo il nostro viaggio dei ricordi con il più recente 5-0 nella fase a gironi Champions League il 2 ottobre 2018 contro il Viktoria Plzen. La “manita” è opera di Edin Dzeko (tripletta), Under e Kluivert, per il suo primo gol nella massima competizione europea. Una vittoria travolgente, diretta da Eusebio Di Francesco.

Alice Dionisi

Che fine hanno fatto? Roma Primavera 2010/11

(S. Valdarchi) – Torna l’appuntamento con la rubrica: “Che fine hanno fatto?”. Prosegue il nostro viaggio nel tempo durante il quale analizziamo le annate della Roma Primavera, andando a scoprire il presente dei calciatori che hanno indossato la maglia giallorossa nelle giovanili. Analizziamo oggi il destino ed i percorsi dei giocatori che erano a disposizione di mister Alberto De Rossi nella stagione 2010/11, annata che ha visto la squadra romanista conquistare il titolo di Campione d’Italia, vincendo la finale per 3-2 contro il Varese. Dall’elenco sono stati tolti i seguenti calciatori, dei quali abbiamo già scritto negli scorsi episodi: Francesco Proietti Gaffi, Mirko Pigliacelli, Alessandro Orchi, Fabrizio Carboni, Federico Barba, Stefano Sabelli, Federico Viviani, Valerio Verre, Gianmario Piscitella, Amato Ciciretti, Matteo Politano, Gianluca Caprari e Gianluca Leonardi.

Alexandru Pena

Con l’avvento di Pigliacelli, perde il posto da titolare nella Primavera romanista nel campionato 2010/11. Nell’estate del 2011 viene mandato in prestito in Romania, dove gioca per la seconda squadra della Dinamo Bucarest, scendendo in campo per 14 volte. Tornato in Italia, la Roma lo cede in via definitiva al Bari. Resta in Puglia per due stagioni, agendo però da secondo portiere della squadra barese, prima di liberarsi nel luglio del 2014. Rimane per qualche mese senza contratto, prima di approdare al Matera, ma anche qui non trova spazio e nell’estate del 2015 lascia definitivamente il calcio.

Luca Antei

Difensore centrale promettente, che è riuscito ad affermarsi a livelli importanti, ma costantemente tormentato da infortuni. Basti pensare che attualmente è lontano dai campi per la rottura del legamento crociato, la terza dall’inizio della sua carriera. Come detto però, è riuscito ad affermarsi, trascorrendo un anno in prestito al Grosseto, in Serie B, prima di partire per Sassuolo. In neroverde arriva la sua consacrazione, in 5 stagioni conquista la promozione in Serie A, fino ad arrivare al debutto in Europa League. Il suo rapporto con il Sassuolo termina però nel 2017, quando si trasferisce al Benevento, dove gioca ancora oggi.

Paolo Frascatore

Paolo Frascatore ha girato moltissimo nella sua carriera, cambiando 11 maglie (senza contare quella della Roma), spostandosi tra la Serie B, la Serie C e la massima divisione in Svizzera. In Lega Pro (poi tornata a denominarsi Serie C) ha giocato con: Benevento, Pistoiese, Reggiana, Sudtirol, Triestina e Padova, club con il quale è sotto contratto ancora oggi. Sassuolo, Reggina, Pescara e Carpi, invece, sono state le squadre con cui si è messo in mostra nel campionato cadetto, mentre in Svizzera ha indossato la maglia del Lausanne-Sport.

Alessandro Florenzi

Uno dei calciatori che più si è messo in luce tra quelli raccontati fin qui in questa rassegna. Dopo aver vinto il campionato Primavera con la fascia di capitano al braccio, Florenzi gioca per un anno a Crotone, rendendosi protagonista in Serie B. Ricomprato in estate dalla Roma, il tuttofare di Vitinia entra nelle rotazioni dei titolari con Zeman in panchina. Passano gli anni, cambiano i suoi ruoli sul terreno di gioco, ma Florenzi continua ad essere ritenuto un prezioso jolly da tutti gli allenatori che passano per Trigoria. Nell’ultima stagione però, Paulo Fonseca gli concede poco spazio ed a gennaio parte in prestito, destinazione Valencia. A giugno tornerà a Roma e si definirà il suo futuro. Restano comunque i numeri di una bella esperienza, che lo ha portato a diventare il capitano della squadra capitolina: 280 presenze e 28 reti. Il numero 24 si è affermato anche in Nazionale, con 35 apparizioni e 2 gol in Azzurro.

Sebastian Mladen

Giocatore polivalente, in grado di giocare come mediano, difensore centrale e terzino destro, nato in Romania nel 1991. Trascorre tre stagioni nella Roma Primavera, giocando come riserva, ma raccogliendo in totale 57 presenze e vincendo il titolo nel campionato 2010/11. La sua carriera, dopo l’esperienza romana, è maturata e si è sviluppata in patria, dove gioca ancora oggi con il Viitorul. Per il resto, ci sono da registrare un paio di parentesi al di fuori dei confini romeni, una in Italia con il Sudtirol ed una in Portogallo con la maglia dell’Olhanense.

Francesco Caratelli

Il terzino destro classe ’93 cresciuto alla Roma, non è riuscito a ritagliarsi un ruolo da protagonista nel mondo del calcio. Una volta lasciata Trigoria, nell’agosto del 2011, approda al Vicenza, dove gioca per una stagione nella Primavera dei biancorossi. Dopo l’anno in Veneto, tenta la fortuna a Pescara, dove però non fa mai l’esordio con la Prima Squadra. A quel punto torna vicino casa, al Pomezia e gioca lì fino al 2016. Una volta terminato il contratto con i rossoblù, rimane nel giro del calcio dilettantistico del Lazio.

Gianmarco Falasca

Approdato alla Roma molto giovane, il centrocampista ha concluso il suo percorso nelle giovanili altrove, con le squadre Primavera di Inter e Lazio. È rimasto sotto contratto con i biancocelesti fino al settembre del 2014, senza mai però trovare l’esordio in Prima Squadra. Di spazio, nel calcio dei grandi, l’ha trovato soltanto in Serie C e Serie D, con le seguenti squadre: Olbia Calcio, Racing Club Roma, Nuorese Calcio, Albalonga, Monterosi ed Atletico Terme Fiuggi.

Bongoura Thiam

Passiamo all’attaccante classe ’93 italo-guineano, nato a Roma. Nella stagione che porta allo Scudetto romanista, gioca 9 gare, segnando 4 gol. Prosegue il suo cammino nelle giovanili con il Tor di Quinto, prima d’essere notato e comprato dal Parma. In Emilia però non riesce mai ad esordire con la Prima Squadra, pur rimanendo sotto contratto fino all’agosto del 2015. Tante esperienze in prestito nelle categorie minori, con le maglie di Bellaria, Savona e La Venere, prima di ritirarsi dal calcio giocato nel luglio 2016.

Louis Dième

Nato a Thiès, Senegal, nel dicembre del 1992, Dième non ha mai lasciato l’Italia, dopo esser cresciuto calcisticamente qui. Passate le annate, positive anche al livello individuale, nella Primavera della Roma, comincia la sua lunga carriera in Serie D, che dura ancora oggi. Nel campionato dilettantistico ha giocato 134 partite, vestendo le maglie di: Racing Fondi, Città di Castello, Rieti, Nocerina, Città di Gela e Sporting Club Triestina.

Mattia Montini

Né vodka, né martini, tutti ubriachi di Montini. Così affermava qualche tifoso sui social, dopo la magica serata estiva del 2011, quando la Roma in Finale Primavera contro il Varese vinceva per 3-2, ai supplementari, con una tripletta del centravanti. Passata l’ebbrezza di quella notte, la carriera di Montini non è stato poi tanto esaltante anche se è riuscito comunque a farsi strada tra il calcio professionistico. In Italia per lui non è mai arrivato l’esordio nella massima serie, mentre ha trascorso una stagione (2013/14) in Serie B con le maglie di Cittadella e Juve Stabia. Per il resto, tante gare giocate in Serie C, con diversi club, e un’esperienza positiva all’estero, in Romania. L’attaccante è sotto contratto dal novembre del 2018 con la Dinamo Bucarest ed ha già raccolto 41 presenze, segnando 17 gol.

(S. Valdarchi)

Che fine hanno fatto? Roma Primavera 2013/14

(S. Valdarchi) – Torna l’appuntamento con la rubrica: “Che fine hanno fatto?”. Prosegue il nostro viaggio nel tempo durante il quale analizziamo le annate della Roma Primavera, andando a scoprire il presente dei calciatori che hanno indossato la maglia giallorossa nelle giovanili. Analizziamo oggi il destino ed i percorsi dei giocatori che erano a disposizione di mister Alberto De Rossi nella stagione 2013/14. Dall’elenco sono stati tolti i seguenti calciatori, dei quali abbiamo già scritto negli scorsi episodi: Gabriele Marchegiani, Arturo Calabresi, Michele Somma, Elio Capradossi, Massimo Sammartino, Matteo Adamo, Lorenzo Pellegrini, Lorenzo Di Livio, Jacopo Ferri, Daniele Verde, Franck Cedric, Francesco Di Mariano, Tommaso Taviani, Tomas Vestenicky, Edoardo Soleri e Aimone Calì.

Francesco Proietti Gaffi

Una volta lasciata la Capitale, il portiere classe ’94 nato a Roma passa un anno e mezzo al Feralpisalò in Serie C, raccogliendo solo 6 presenze. Per gli ultimi 6 mesi della stagione 2015/16 passa all’US Città di Pontedera, senza mai esordire con la maglia del club toscano. Da lì in poi comincia a giocare in diverse squadre del Lazio, passando tra la Serie D ed il campionato d’Eccellenza. Queste le maglie indossate da Proietti Gaffi nel tempo: Flaminia, Lupa Roma, Astrea ed Eretum Monterotondo.

Lorenzo Zonfrilli

Dopo aver trovato poco spazio nella Primavera romanista, trascorre due anni da titolare in Serie C, con le maglie di Viterbese e Rieti. Nel luglio del 2016 rescinde il suo contratto con il club laziale, rimanendo senza una squadra fino al dicembre dello stesso anno, quando viene tesserato dal Valle Tevere. Dopo due stagioni passate in maglia biancoviola, passa al Boreale, dove tutt’ora gioca come titolare nel campionato d’Eccellenza.

Alessio Romagnoli

Nel 2013/14, sua ultima stagione con la maglia della Roma, gioca poco in Primavera, soltanto 4 presenze, in quanto viene messo a disposizione della Prima Squadra per la maggior parte delle gare. Raccoglie 11 presenze in Serie A, prima di passare in prestito per un anno alla Sampdoria, dove gioca da titolare, trovando anche due reti nella massima competizione. Nell’estate del 2015 viene ceduto al Milan, squadra della quale è divenuto il capitano e dove gioca ancora oggi. In maglia rossonera ha totalizzato 181 presenze, siglando 7 gol. Un rendimento che gli ha permesso di entrare ormai nel giro della Nazionale.

Tin Jedvaj

Il suo arrivo a Roma è accompagnato da grandi aspettative, che si sono dimostrate nel tempo giustificate, ma non a Roma. Il difensore croato trascorre una sola annata in giallorosso, dividendosi tra Prima Squadra e Primavera. Al termine della stagione 2013/14 passa al Bayer Leverkusen, prima in prestito, poi a titolo definitivo. Con il club tedesco colleziona oltre 100 presenze e con la Croazia raggiunge la finale dei mondiali di Russia 2018, trascorrendo però in panchina il match decisivo contro la Francia. La scorsa estate viene ceduto in prestito all’Augusta, ma a giugno è previsto il suo rientro al Bayer Leverkusen.

Mihai Balasa

Gioca una sola stagione con la Roma, diventando un titolare nella formazione di Alberto De Rossi. Il difensore romeno viene poi ceduto in prestito biennale al Crotone, dove gioca con regolarità per due anni in Serie B. Conclusa l’esperienza in Calabria, ecco un altro prestito, questa volta al Trapani. In Sicilia lo spazio per lui non è molto e così dopo soltanto sei mesi passa alla Steaua Bucarest, questa volta a titolo definitivo. In patria arrivano anche le prime presenze in Europa, tra qualificazioni per la Champions League e gare di Europa League. Dopo due anni e mezzo passati alla Steaua, approda lo scorso agosto all’Universitatea Craiova.

Deian Boldor

Il difensore centrale classe ’95 nato in Romania è un vero e proprio giramondo. 7 club in meno di 6 anni, qualche volta senza neanche esordire mai, come accaduto nei suoi due passaggi al Bologna. Per il resto molta esperienza in Serie B con le maglie di: Pescara, Virtus Lanciano, Hellas Verona e Foggia; una presenza anche in Serie A con gli scaligeri ed una parentesi nel 2017 negli Stati Uniti D’America. Nell’MLS gioca 5 gare con il Montreal Impact, prima di fare ritorno a Verona. Attualmente si trova in Albania, dove gioca per il FK Partizani. A giugno tornerà ancora una volta all’Hellas Verona.

Vlad Marin

Altro ragazzo nato nel 1995 in Romania, passato per il Fulvio Bernardini solo in prestito per 6 mesi dalla Juventus, club nel quale ha completato la sua formazione calcistica dopo aver vestito le maglie di Lazio e Manchester City. Resta di proprietà dei bianconeri fino all’estate 2016, giocando in prestito prima al Messina e poi al Rimini, in Serie C. La Juventus lo cede poi a titolo definitivo in Belgio, più precisamente al Denver, dove trascorre due stagioni. La scorsa estate è tornato in Italia, questa volta vestendo la maglia del Cuneo, sempre in terza divisione.

Luca Mazzitelli

Gioca e convince tutti in Primavera, con la fascia di capitano al braccio. La Roma però, prima di aggregarlo in Prima Squadra, preferisce fargli giocare due stagioni in prestito con Sudtirol e Brescia. Le due esperienze vanno bene e, in Serie B, Mazzitelli raccoglie 36 presenze. Attira l’attenzione del Sassuolo, che l’estate successiva lo acquista a titolo definitivo. Dal 2016 al 2018 gioca nei neroverdi, diventando un titolare nella formazione emiliana. Con l’arrivo di altri centrocampisti dal mercato, il suo ruolo da protagonista è a rischio ed il Sassuolo decide di mandarlo in prestito prima al Genoa e poi alla Virtus Entella, dove gioca attualmente. A giugno ritornerà al Sassuolo, per definire il suo futuro.

Simone Battaglia

La carriera del centrocampista centrale nato nel ’95 non è mai sbocciata definitivamente. Dal 2014 al 2017 tanti prestiti per lui, fino alla separazione al termine del contratto con la Roma, avvenuta nel luglio del 2017. Battaglia non è mai riuscito ad andare oltre alla Serie C, giocando spesso anche in Serie D ed in Eccellenza. Queste le maglie che ha vestito dal 2014 ad oggi: Vigor Lamezia, Monopoli, Ancona, Melfi, Calcio Flaminia, Pomezia e Falaschelavinio.

Alberto Tibolla

L’avventura alla Roma del centrocampista originario di Feltre è durata soltanto 6 mesi, dal gennaio al luglio 2014, in prestito dal ChievoVerona. Non è mai riuscito ad esordire con la Prima Squadra dei gialloblù, pur rimanendo a disposizione fino all’agosto del 2016. Tante le presenze raccolte in Serie D, con le seguenti squadre: Union Ripa La Fenadora, Gubbio, Eclisse Carenipievigna e Union San Giorgio Sedico, club con il quale gioca in questa stagione.

Romeo Shahinas

Nell’estate del 2014 si trasferisce al Latina, dove completa il suo percorso nelle giovanili, giocando per due anni in Primavera e facendo il suo esordio in Serie B nel 2016. Nel 2016/17 arriva l’esperienza in prestito alla Racing Roma in Serie C, dove totalizza 18 presenze, prima di trasferirsi a titolo definitivo in patria, al Partizani. In Albania però gioca soltanto due gare e rescinde il suo contratto, restando svincolato da novembre 2017 a settembre 2018. Da lì in poi, tre esperienze tra Serie D ed Eccellenza con la Rotonda Calcio, l’Arce 1932 ed il Falaschelavinio.

Federico Ricci

Battezzato come giovane promessa da Luis Enrique, fa il suo esordio con la Roma nel 2013/14, giocando 4 spezzoni di gare in Serie A. L’anno successivo passa al Crotone in prestito, dove resta per due stagioni, diventando un titolare in Serie B. Torna a Crotone qualche anno più tardi, nel gennaio del 2018, giocando 14 partite in Serie A. Nella massima competizione indossa le maglie di Sassuolo e Genoa, prima di tornare in Serie B con il Benevento l’anno scorso. Attualmente si trova allo Spezia, in prestito dal Sassuolo, dove tornerà al termine del campionato.

Valerio Trani

Completa il suo percorso nel calcio giovanile con Torino, Latina e Frosinone, giocando con regolarità e segnando in tutto 5 reti. Una volta terminati questi tre prestiti, si svincola dalla Roma alla fine del contratto e firma qualche mese dopo, nel settembre del 2016, per la Polisportiva Ciampino. Gioca ancora oggi con la maglia del Ciampino, nel campionato d’Eccellenza.

Lorenzo Musto

Passiamo a Lorenzo Musto, punta centrale nata nel ’96 a Roma. Dopo due stagioni con la Primavera giallorossa, Musto viene venduto al Perugia, dove si mette a disposizione della Primavera umbra, prima di passare alla Torres, in Serie D. Nell’agosto del 2016 arriva il passaggio al Bologna, squadra con la quale però non è mai riuscito a debuttare. Musto rimane sotto contratto con i rossoblù fino al 2018, trascorrendo i due anni in prestito in 4 squadre diverse: Gubbio, Lumezzane, Renate ed Arzachena. Nell’estate del 2018 viene ceduto al Chiasso, in Svizzera, rimanendo un anno lì prima di rescindere il suo contratto. Resta ancora oggi svincolato.

Valmir Berisha

Arriva a Roma nell’estate del 2013, con l’appellativo pesante di nuovo Ibrahimovic. Nella Capitale non riesce mai ad affermarsi, raccogliendo solo 6 presenze nel campionato Primavera 2013/14. Dopo una stagione in prestito al Panathinaikos, nella quale gioca 10 minuti in tutto, viene ceduto a titolo definitivo in Olanda al Cambuur-Leeuwarden. Dopo altre esperienze in alcuni campionati del Nord Europa (in Danimarca ed in Islanda), va in Bosnia al Velez Mostar. Attualmente gioca per il Chindia Targoviste, in Romania.

(S. Valdarchi)

Viaggiando nella Hall Of Fame: Aldair, il pluto che ha lasciato saudade

Pagine Romaniste (F. Belli) – Nella Roma migliore di tutti i tempi come centrali prendo due stranieri: quello falso, Vierchowood, e quello vero: Aldair”. Parola di un mostro sacro del calcio italiano: Nils LiedholmAldair Nascimento do Santos nasce in un piccolo paesino in provincia di Ilheus, non lontano da Rio de Janeiro. Da piccolo voleva giocare in attacco ma cambia subito idea, a suo dire, “perchè lì si prendevano troppi calci”. Non gli mancava il coraggio, era la paura che lo fregava direbbe Totò. Meglio una zona più sicura, meglio giocare difensore centrale. E’ un difensore potente, forte ma anche elegante e sopraffino, stile brasiliano insomma. Ha un difetto: è lento. Del resto, diceva Shakespeare, per scalare colline ripide serve inizialmente un passo lento. Viene notato dal Flamengo dove vince un campionato carioca nel 1986. Pochi anni dopo vola in Portogallo, al Benfica, prima di guadagnarsi l’attenzione di Dino Viola che lo acquista per la cifra monstre di 6 miliardi di lire. Per di più per dieci anni diventa il perno insostituibile della difesa giallorossa pur non vincendo praticamente niente. Entra di prepotenza nel cuore dei tifosi che lo soprannominano “Pluto”, per la somiglianza e per le movenze col personaggio della Disney, e “Alda”, in romanesco. E’ uno dei più forti difensori del mondo, se non il più forte, ma non è aiutato da una Roma che nel corso degli anni ’90 stenta ed è al limite della mediocrità. Una volta disse: “La squadra è come un buon piatto di carne. A volte basta cuocerla a fuoco lento, altre volte serve pressione o brace”. Ecco, quella Roma sembra un pezzo di carne crudo.

La fascia a Totti, lo scudetto “perso” e l’Aldair day

Diventa capitano nel ’98 e neanche un anno dopo compie il gran gesto: dare la fascia a un giovane Francesco Totti, che poi ha contraccambierà scrivendo una lettera struggente il giorno del suo addio al calcio. Ma questa è la fine. Torniamo a quel gesto: non era dovuto, semplicemente Aldair era già un passo avanti a tutti, come sempre anche in campo. A fine decennio arriva Capello, quando ormai il peso degli anni ha bussato alla porta di casa Pluto. L’anno dello scudetto, per dire, si infortuna a metà stagione perdendosi tutto il finale del campionato. Lui, che aveva condiviso con i tifosi i grandi dolori e le pochissime gioie di quegli anni, si sarebbe perso proprio il rush finale verso la gloria. Un dolore straziante che lo porterà a estraniarsi anche il giorno dello scudetto il 17 giugno. Non è difficile trovare il video di lui seduto con lo sguardo fisso verso terra in mezzo a compagni riversi in un autentico delirio. Due anni dopo l’Aldair day, il ritiro di fronte alla sua gente. Persone che lo hanno idolatrato, difeso, sostenuto, e che da quel giorno hanno anche pianto per lui. La numero “6” ritirata a furor di popolo dopo l’addio strappalacrime non basta a spiegare l’affetto che i tifosi della Roma nutrono per questo giocatore. Una “6” cosi pesante che per trovare nuova dimora ha aspettato l’arrivo di un certo Kevin StrootmanUn proverbio brasiliano dice che chi semina vento raccoglie tempesta e chi semina amore raccoglie saudade. Non esiste un corrispettivo italiano di saudade, è una sorta di atteggiamento di nostalgico rimpianto. Noi abbiamo amato Pluto, e Pluto ci ha lasciato saudade. – Pagine Romaniste (F. Belli).