De Rossi si maschera e assiste al derby in Curva Sud. Un amore viscerale per la Roma

Alice Dionisi – Una truccatrice professionista e il derby da spettatore, accanto i tifosi che lo hanno sempre amato. Attraverso un video pubblicato dalla moglie Sarah su Instagram, Daniele De Rossi rivela di essersi mascherato per poter assistere in incognito alla stracittadina, insieme all’amico Valerio Mastrandea. Parrucca, occhiali, cappello e sciarpa, così l’ex calciatore ha coronato il suo sogno e si è seduto sui seggiolini della Curva Sud allo Stadio Olimpico.

L’addio da calciatore alla sua Roma il 26 maggio 2019, ma mai da tifoso. Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, a seguito della breve parentesi con il Boca Juniors, il numero 16 torna nella Capitale e non perde l’occasione per ribadire, ancora una volta, il suo amore per i colori giallo e rosso. Nel corso della sua carriera, più di 600 presenze con il club, De Rossi ha più volte scaldato il cuore dei tifosi con le sue dichiarazioni.

Nella conferenza stampa in cui annunciava il suo “addio” alla Roma, disse: “Sulla mia decisione di rimanere sempre fedele a questa squadra non tornerei indietro, non cambierei una virgola”. Inizia a giocare in prima squadra l’anno dopo lo scudetto, senza mai riuscire a conquistare il titolo da protagonista, ma nel corso della sua carriera vince con i giallorossi due volte la Coppa Italia e una volta la Supercoppa. Si laurea campione del Mondo con la nazionale italiana nel 2006, segnando uno dei rigori decisivi con la Francia.

La frase che descrive meglio la meravigliosa storia d’amore tra De Rossi e la Roma l’ha detta lui stesso: “Ho un unico rimpianto, quello di poter donare alla Roma una sola carriera”. Dopo la vittoria per 3-0 sul Chelsea nella fase a gironi in Champions League, nella stagione della cavalcata giallorossa fino alla semifinale contro il Liverpool, i commentatori della gara nel post-partita gli chiesero se in serate come quella ringraziava di essere romanista. La risposta, di classe: “Noi non viviamo serate di gloria in Champions League, io ricordo ancora la vittoria sul Chelsea di dieci anni fa. Abbiamo preso tante batoste, ma dobbiamo ringraziare di essere nati romanisti anche dopo i 7-1”.

Protagonista della rimonta per 3-0 al Barcellona, da capitano, con la C maiuscola, si è preso la responsabilità di andare a calciare il rigore -quello del secondo gol- dopo l’autorete nella gara d’andata al Camp Nou. “Ai compagni ho detto, ‘se loro [i tifosi, ndr] ci credono, dobbiamo crederci come loro. Male che vada non passiamo, le tragedie sono altre’. Una delle serate più belle della mia carriera”.

“La Roma la amo troppo, viene dopo mia figlia. Non è ruffianeria. Quando segno non posso fare le orecchie alla Toni, non ci riesco. Mi viene da baciarla la Roma” (Roma-Inter 2-1, 2010).
“Io sono di proprietà dei tifosi della Roma” aveva dichiarato nel 2018, quegli stessi tifosi che, nonostante la situazione delicata, ha voluto rassicurare anche nella sua conferenza stampa di addio: “Tanti dicono per strada: ‘Ha smesso Francesco, se smetti anche tu siamo rovinati’, ma la Roma va avanti, è andata avanti dopo Di Bartolomei, dopo Bruno Conti, dopo Giannini, dopo Falcao, dopo le peggiori partite perse e le peggiori delusioni. Stiamo andando avanti anche senza Francesco, forse la cosa più dolorosa per un tifoso della Roma, figuratevi se non si può superare il post carriera del sottoscritto”.

Alice Dionisi

Viaggiando nella Hall of Fame: Francesco Rocca, il drammatico calvario “Kawasaki”

Pagine Romaniste (F. Belli) – Ci sono storie che vale la pena raccontare per quello che sono state. E poi ci sono storie che vale la pena raccontare più per quello che sarebbero potute essere, come quella di Francesco Rocca. Un terzino sinistro brillante costretto ad appendere gli scarpini al chiodo troppo presto, a 26 anni, a causa di un maledetto infame infortunio al ginocchio. Riavvolgiamo il nastro però: il ragazzo di San Vito Romano viene notato dalla Roma ed entra nelle giovanili nel 1971. Mancano cinque anni dall’inizio dell’incubo. La sua principale dote è la forza nella progressione palla al piede, nessuno riesce a fermarloGiorgio Rossi, storico massaggiatore del club passato a miglior vita poco tempo fa, ricorda come nelle amichevoli l’avversario diretto di Rocca doveva essere regolarmente sostituito perché non in grado di proseguire. L’esordio in campionato è datato 25 marzo 1973 a San Siro contro il Milan. Si tratta di un giocatore fisicamente superiore, come notato dall’allora capitano Cordova“Francesco, se corri così forte quando arrivi in fondo non trovi nessuno”. L’anno successivo esordisce anche nella Nazionale maggiore col ct Fulvio Bernardini contro “l’arancia meccanica” di Cruijff e compagni. “Fuffo” gli dice: “Qualsiasi cosa accada, ricordati che sei il più forte“. E’ vero. Nessuno riesce a fermare “Kawasaki“, soprannominato così dai tifosi giallorossi come le potenti moto giapponesi in voga quegli anni.

L’infortunio e il calvario

E poi arriva quel maledetto 10 ottobre 1976. Cesena-Roma, dopo tre minuti di gioco un avversario lo colpisce in scivolata. E’ un contrasto duro, ma sembra non sia successo nulla di che. Sembra. Il giorno dopo il ginocchio si gonfia e Francesco inizia a preoccuparsi. Il 16 ottobre è in programma una gara di qualificazione al mondiale contro il Lussemburgo e Kawasaki vuole giocare. Può scendere in campo, lo dicono i medici. E gioca. Ma gioca male attirandosi le critiche di stampa e tifosi. Ancora non si è consumato il fattaccio. Dopo due giorni torna ad allenarsi e i legamenti saltano. “Si era rotto tutto, legamento crociato anteriore, collaterale, menisco, capsula articolare e cartilagine. Avrei dovuto finirla lì”, ricorderà più tardi. Torna dopo mesi contro il Perugia ma a luglio il ginocchio si rigonfia. Si opera altre tre volte tra agosto del 77′ e il giugno del 78′, ma il calvario non finisce. Enzo Bearzot dirà: “Chi più di Francesco Rocca sarebbe stato l’uomo ideale per la mia Nazionale? Un fisico da leone, un fiato da vendere. Lo perdiamo per via di un ginocchio a pezzi dopo che avevo deciso che era lui uno dei miei punti fermi“. Si ritira nel 1981, un anno prima del successo azzurro al Mondiale di Spagna e due prima del tricolore giallorosso. Una storia interrotta all’origine e un calvario che lo tormenta ancora oggi. Infatti come ha dichiarato recentemente è da 40 anni, da quel 10 ottobre del 1976, che ogni sera si mette il ghiaccio sul ginocchio per attenuare l’insopportabile dolore. Un triste monotono gesto ormai quotidiano che rievoca le brutte sensazioni di quegli anni.  E’ questa la storia di Francesco Rocca, un uomo reso dal dolore più grande di quanto avrebbe voluto. Pagine Romaniste (F. Belli)