Agli ottavi il Siviglia dell’ex Monchi

Alice Dionisi – Da Nyon arriva il verdetto per le italiane in Europa League, che sono chiamate ad affrontare due spagnole agli ottavi di finale. La Roma pesca il Siviglia dell’ex direttore sportivo Monchi, mentre l’Inter si giocherà il passaggio del turno contro il Getafe. Il 12 marzo i giallorossi voleranno in trasferta in Spagna, per poi giocare il ritorno allo stadio Olimpico la settimana successiva, il 19 marzo. Al contrario, nelle stesse date i nerazzurri affronteranno la gara d’andata a San Siro e il ritorno in trasferta. Per quanto riguarda le altre avversarie ancora in corsa per la finale a Danzica il 27 maggio, i sorteggi hanno decretato che l’Istanbul Basaksehir, qualificatosi come primo nel girone che ospitava anche la Roma, affronterà il Copenaghen, mentre l’Olympiakos sfiderà il Wolverhampton. Strada spianata per il Manchester United, accoppiato contro il Lask Linz. Estratte Rangers-Leverkusen e Wolfsburg-Shakhtar, mentre il Basilea affronterà la vincente tra Eintracht Francoforte e Salisburgo.

Dopo aver eliminato il Gent ai sedicesimi (1-0 in casa e 1-1 in Belgio al ritorno), la Roma ritroverà il tanto contestato ex direttore sportivo Monchi, tornato a Siviglia dopo l’esperienza fallimentare in Italia. Gli andalusi, che al momento occupano il terzo posto in Liga, a pari punti con l’Atletico Madrid, si erano qualificati primi nel girone A, affrontando poi il Cluj ai sedicesimi. Dopo l’1-1 in Romania, gli spagnoli hanno pareggiato 0-0 nel ritorno allo stadio Ramón Sánchez-Pizjuán, con il brivido all’87’ del gol -poi annullato dal VAR- che li avrebbe eliminati dalla competizione. “Questa sfida ha un lato sentimentale per alcuni di noi” ha dichiarato il capo dell’area sportiva giallorossa Manolo Zubiria, “ma si tratterà soprattutto di due belle partite. Avrei preferito affrontare il Siviglia in finale”. La sfida contro gli andalusi allenati da Lopetegui sarà tutt’altro che semplice, dato che è la squadra che detiene il record per il maggior numero di vittorie nella competizione. Ogni qual volta che sono arrivati in finale, gli spagnoli hanno poi vinto il titolo (per ben cinque volte) che invece manca in Italia dalla stagione 1998-1999, quando fu il Parma ad alzare il trofeo. “La Roma non è certamente un piccolo rivale, ma noi abbiamo un feeling speciale con questa competizione e speriamo di andare avanti. So che per il nostro direttore sportivo Monchi queste partite saranno ancora più particolari” ha dichiarato il vice-direttore generale del Siviglia Jesus Arroyo.

Alice Dionisi

Viaggiando nella Hall Of Fame: Toninho Cerezo e quell’ultimo minuto che valse una Coppa Italia

Pagine Romaniste (F. Belli) – Chissà cosa ha fatto a Capodanno Toninho Cerezo. Come non iniziare il racconto di questa leggenda con una frase scontata, ormai entrata nell’immaginario collettivo con “Vacanze di Natale“. Un campione dal cuore d’oro e dalla forte personalità brasiliana, frizzante e gioiosa. Veniva chiamato simpaticamente “birillo” perché sembrava cadere da un momento all’altro ma poi restava sempre in piedi. Un altro soprannome che gli fu affibbiato, politicamente scorretto, era “er tappetaro” perché con quella carnagione e quei baffi sembrava un venditore di tappeti come se ne vedevano tanti in giro per la Città Eterna. I tifosi si innamorano di lui e lui si innamora dei tifosi: “Il cuore di Dio è giallorosso”  dirà più avanti. Ha il calcio nel Dna, come tutti i brasiliani del resto. Diceva Galeano“Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo da calcio”. Tre stagioni alla Roma: nella prima vince una Coppa Italia e perde la finale di Coppa dei Campioni col Liverpool, nella seconda nulla, nella terza vince di nuovo la Coppa Italia. Ed è legato proprio a quest’ultimo trofeo il momento più bello in giallorosso e che forse vale da solo la sua nomina nella Hall Of Fame.

Cerezo Gol! Cerezo Gol! Gli ultimi indimenticabili minuti contro la Sampdoria

L’avversario è la Sampdoria e la finale è a doppia sfida. L’andata al Marassi finisce 2-1 per i blucerchiati, che devono quindi difendere il risultato all’Olimpico. Piccolo dettaglio: la competizione si gioca in estate. In quella calda estate ci sono i Mondiali in Messico. Perciò i giocatori più forti sono con le rispettive selezioni. Il birillo doveva seguire la Selecao ma si era infortunato a maggio, così piuttosto che seguire i compagni ha preferito restare a Roma e giocare la finale. Toninho è entrato ormai in conflitto con Dino Viola che lo vuole cedere. Quindi la vuole quella finale, è l’ultima partita con la sua Roma probabilmente. Il resto lo racconta lui, intervistato da Roma TV“Avrei voluto giocare quella finale, ma questo “str***o” di Eriksson non voleva e mi fece tutto un discorso per convincermi. Mi chiese se volessi sedermi in panchina e io, da professionista come sono sempre stato, ho accettato. Nel calcio sono arrivato dove sono arrivato per questo mio atteggiamento. La presi come un’opportunità anche di salutare i tifosi”. È la fine triste di una storia troppo breve. La Roma conduce 1-0 e a 5 minuti dalla fine Eriksson lo fa entrare. Ha 5 minuti a disposizione per entrare nella storia. Lo farà. Al minuto 89′ la Sampdoria organizza un’azione offensiva ma i giallorossi recuperano palla sulla linea difensiva. Il resto è cronaca di Alberto Mandolesi“E’ un momento stupendo, commovente. Ecco la Roma in contropiede, ecco Impallomeni al limite dell’area che conduce questo contropiede romanista. Palla all’indietro per Giannini, poi di nuovo per ImpallomeniFinta e controfinta, sul posto lasciato. Traversone: Cerezo Gol! Cerezo Gol! Ha segnato Cerezo! All’ultimo minuto! Il suo ultimo minuto! Non è possibile!. Una questione di tempo, che a volte è fatto di istanti indimenticabili e altre da momenti interminabili. In quei secondi Cerezo è uscito dal circolo del tempo ed è entrato in quello dell’amore. Pagine Romaniste (F. Belli) 

La Roma è agli ottavi di Europa League ma la prestazione col Gent non è sufficiente

 

Pagine Romaniste (F. Belli) – La Roma è agli ottavi di fnale dell’Europa League. E’ questo il verdetto della Ghelamco Arena, dove il match col Gent è terminato 1-1. David ha portato in vantaggio i belgi nel primo tempo, ma dopo appena 5 minuti Kluivert ha siglato il gol qualificazione grazie a uno splendido assist di Mkhitaryan. La Roma ha passato il turno di Europa League ma non c’è molto da sorridere per Fonseca. La prestazione ricalca molto quelle di questo inizio di 2020. Poco gioco, poche idee e un atteggiamento difensivo che non dovrebbe essere quello che chiede il mister portoghese. In un difesa che fa acqua, Smalling continua a dimostrare di essere l’unico impermeabile. Nel prossimo turno ci vorrà sicuramente una prestazione diversa per poter sperare di arrivare ai quarti.  La squadra di Fonseca ha mostrato i consueti errori individuali e di tenuta mentale visti nell’anno solare 2020 e cancellati solo nella breve parentesi col Lecce di domenica scorsa. I belgi hanno preso in mano il pallino del gioco per tutta la partita e hanno trovato il vantaggio su una dormita colossale di Mancini grazie a un’intuizione di David, il ragazzo di New York che potrebbe aver segnato l’ultimo gol alla Roma di Pallotta da Boston. Già qualche minuto prima lo stesso giocatore aveva mandato in fumo il pressing sia di Spinazzola sia dello stesso Mancini, che possiamo quindi dire che non ha giocato una bella partita. E va detto che al Gent manca un rigore per trattenuta in area di Smalling nemmeno rivista al Var. Sembrava l’inizio dell’ennesima tragedia vista già con Juve, Sassuolo e Bologna. Anche nella ripresa, David e compagni hanno preso d’assedio la porta di Pau Lopez senza trovare il gol della speranza come accaduto all’andata. Forse merito dell’estremo difensore giallorosso, ma anche del poco cinismo degli avversari sotto porta. Fonseca ha intuito il momento di difficoltà e ha irrobustito la coperta inserendo prima Santon e Fazio e poi Villar. Mosse azzeccate, almeno le prime due. Questa l’analisi a fine gara del mister: “È una squadra che può essere migliorata, ma non è facile avere stabilità quando ci sono continui infortuni. All’inizio della stagione ne abbiamo avuti tanti e negli ultimi tempi Diawara era tra i migliori in campo e si è infortunato, così come Zaniolo. È assurdo, i giocatori ne risentono. Scenderemo in campo tra meno di settantadue ore non capisco il perché”.

Francesco Belli

 

Viaggiando nella Hall Of Fame: Mario De Micheli e il ceffone più romanista di sempre

Pagine Romaniste (F. Belli) – Quarto derby della Capitale della storia, 24 maggio del 1931. La Lazio vince 2-1 e al minuto 87 un socio biancoceleste recupera il pallone e lo tira lontano. Il suo nome è Giorgio Vaccaro, passato agli annali come colui che rifiutò la fusione con l’Alba, la Fortitudo e il Roman che avrebbe dato vita all’Associazione Sportiva Roma. “Colui che per viltade fece il gran rifiuto” insomma, anche se poi questa si è dimostrata una colossale balla. Vaccaro non era categoricamente contrario alla fusione, come dimostrato da una sua lettera pubblicata da “Il Tevere” il 15 giugno del 1927: “A me premeva, quindi, solo rettificare due punti sostanziali che dimostrano chiaramente come la richiesta di trattative di fusione fatta da Foschi (Italo, primo presidente della Roma ndr) rimase senza conclusione non per volontà della Lazio, la quale anzi fu sorpresa dall’improvvisa e non giustificata resipiscenza, dovuta evidentemente ad altre ragioni che non occorre qui ricordare”. Nessun rifiuto quindi, l’accordo s’aveva da fare ma non si è trovato un punto di contatto. Ma torniamo a quel 24 maggio del 1931: Vaccaro, che tra le altre brutte cose era anche un pezzo grosso del Regime fascista, lancia via la palla per perdere tempo e i giallorossi si infuriano.

Il ceffone al gerarca e i primi passi a Piazza San Cosimato

Nasce un parapiglia tremendo e un uomo gli si avvicina lesto lesto assestandogli un bel ceffone. Solo l’intervento dei Carabinieri riuscirà a placare gli animi. Quell’uomo è Mario De Micheli, difensore della Roma da sempre. La leggenda narra che dopo quell’episodio abbia detto agli amici: “J’ho dato ‘na tramvata, j’ho allungato le ossa così tanto che ‘mo se po’ pure arrolà nei granatieri”. Un tipo fumantino e con l’animo testaccino, non a caso è anche citato nella canzone di Campo Testaccio“De Micheli scrucchia che è ‘n piacere…”. Scrucchia, come ha raccontato la figlia Luciana, in trasteverino significa che passa sempre, anche se qualcuno prova a fermarlo. Perché lui sarà anche testaccino d’adozione, ma è nato a Trastevere e guai a dimenticarlo. Non a caso Il Littoriale ne parlava cosi: “Nato a Roma, è dei romani il più autentico rappresentante, poiché Trastevere è la roccaforte dei discendenti di Romolo e Remo, e De Micheli è trasteverino al 100%”. Il suo soprannome era “er faciolaro”, perché il padre aveva un magazzino di legumi a Piazza San Cosimato. Non era un granché dal punto di vista tecnico ma l’avversario, con le buone o più spesso con le cattive, lo fermava sempre. Hegel diceva che nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione. E quel ceffone si, è figlio di una grande passione chiamata RomaPagine Romaniste (F. Belli)

Una vittoria per respirare: quattro gol contro il Lecce per sperare nel quarto posto

(Jacopo Venturi) – L’avversario non era dei più ostici, ma il momento era nerissimo. E allora la vittoria della Roma per 4-0 contro il Lecce assume un significato particolare, perché arriva dopo tre “zero” consecutivi per la squadra di Fonseca. I giallorossi in verità non hanno brillato nemmeno contro i pugliesi, ma almeno si sono riviste delle idee di gioco chiare e, a tratti ben applicate. Ed era dalla derby contro la Lazio che non si vedeva una prestazione logica dal punto di vista tattico per la Roma. Ora il calendario prima dello scontro con il Milan mette di fronte alla squadra di Fonseca Cagliari e Sampdoria, due avversarie abbordabili, contro le quali la Roma deve cercare a tutti i costi sei punti che possono significare un rilancio definitivo in ottica quarto posto. Perché se anche quest’anno dovesse sfumare l’obiettivo primario, sarebbe difficile valutare positivamente la stagione romanista.

(Jacopo Venturi)

SERIE A – La Roma torna al successo: Mkhitaryan trascinatore contro il Lecce

(R.Rodio) – Finalmente la Roma. Nel weekend dello stop a diverse gare di campionato per il rischio contagio del Coronavirus, i giallorossi giocano e tornano a vincere, entusiasmando un Olimpico però semivuoto.

4-0 il risultato finale di Roma-Lecce, match della 25.a giornata di Serie A, che riporta i giallorossi a -3 punti (momentanei) dalla zona Champions League. Un successo netto, meritato, concreto, figlio di una prestazione finalmente degna di nota.

La squadra di Paulo Fonseca abbatte quella di Fabio Liverani fin dalle prime battute. Assedia l’area leccese e passa in vantaggio al 13′ con Under, servito perfettamente da un assist di Mkhitaryan. L’armeno risulterà il migliore in campo, uomo in più della Roma e autore del raddoppio al 37′, con un sinistro in corsa preciso e vincente.

Nella ripresa il Lecce mette la testa fuori dalla propria area, ma crolla ancora sotto i colpi di Dzeko (gol regolarizzato dal VAR) e di Kolarov, che torna a segnare e disputare una prova apprezzabile. Finisce con un poker che ridà finalmente fiducia ad una squadra che ha iniziato il 2020 in maniera a dir poco disastrosa.

Il tabellino del match:

ROMA (4-2-3-1): Pau Lopez; B.Peres, Mancini, Smalling, Kolarov; Veretout, Cristante; Under (61′ Perez), Pellegrini (46′ Kluivert), Mkhitaryan; Dzeko (82′ Kalinic). All: Fonseca.

LECCE (4-3-2-1): Vigorito; Donati (83′ Meccariello), Lucioni, Rossettini, Calderoni; Deiola, Petriccione (46′ Shakov), Majer; Barak (66′ Tachtsidis), Mancosu; Lapadula. All: Liverani.

Arbitro: Giacomelli di Trieste.

Marcatori: 13′ Under, 37′ Mkhitaryan, 70′ Dzeko, 80′ Kolarov.

La Roma perde con l’Atalanta e si allontana dal quarto posto

Pagine Romaniste (F. Belli) – Quasi un’ultima spiaggia per la Roma quella contro l’Atalanta. I giallorossi hanno perso 2-1, nonostante fossero passati in vantaggio nel primo tempo con Dzeko. I nerazzurri hanno infatti rimontato nel secondo tempo grazie a Palomino e a Pasalic, quest’ultimo a 19 secondi dall’entrata in campo. Una sconfitta che brucia, visto che gli uomini di Fonseca sono ora a sei punti dal quarto posto a pochi mesi dal termine del campionato. In realtà i punti di distacco sarebbero 7, con il settimo che è invisibile ma pesa, perché è il vantaggio negli scontri diretti. Dopo un errore che regala il gol ai giallorossi, nasce un quarto d’ora furioso che ribalta la contesa. Terza sconfitta consecutiva per la Roma: non accadeva dal 2014. Le altre due sconfitte sono altrettanto pesanti e sono arrivate contro Bologna e Sassuolo. L’unico tiro in porta è stato quello di Dzeko. Non è bastato il 4-1-4-1, con Mancini a vegliare sulla difesa e il bosniaco appena oltre il centrocampo. I giallorossi finiscono in vantaggio nel primo tempo perché un passaggio di Hateboer viene stoppato male da Palomino, che però non è tipo che si abbatte, così dopo l’intervallo pareggia di testa. L’Atalanta può pensare al Valencia, la Roma non fa più male da tempo. La nota positiva rimane Edin Dzeko, che timbra il gol numero 101 con la maglia della Roma, avvicinandosi a Montella (102). L’inseguimento del quarto posto leva tante energie ma giovedì sarà di nuovo Europa League e i giallorossi si giocheranno l’andata contro il Gent. Questa l’analisi di Fonseca a fine gara: In questo momento è importante lavorare sulla testa dei giocatori. Non è facile giocare qui, l’Atalanta è molto forte. Oggi non abbiamo permesso loro molte occasioni da gol, abbiamo fatto una buona partita dal punto di vista strategico e difensivo, ma dopo il primo gol la squadra ha passato un momento difficile. Non posso dire nulla di negativo sull’atteggiamento e sul coraggio della squadra. La partita è stata decisa da dettagli, abbiamo fatto difensivamente una buona partita. Quarto posto? Mancano 14 partite, credo sia possibile, è difficile, ma in questo campionato molte squadre perdono molti punti. Ma penso sia possibile”.

Francesco Belli

La Roma in crisi: tre sconfitte consecutive compromettono la stagione

(Jacopo Venturi) – La mattina del 21 dicembre 2019 la Roma si è svegliata quarta in classifica, a 35 punti, a meno 7 dalla Juventus e dall’Inter prime, con i bianconeri ancora da affrontare nell’ultima partita del girone. La mattina del 16 febbraio 2020, quasi due mesi dopo, la Roma ha solo quattro punti in più di allora, 39, è al quinto posto ed è scivolata a -18 dalla Juventus capolista. È il periodo più nero della stagione giallorossa fino a questo momento. Dopo un gennaio difficile, con sconfitte pesanti, il mese di febbraio è stato possibilmente peggiore: tre partite, con Sassuolo, Bologna e Atalanta, e tre sconfitte. Un record negativo per Fonseca, che si trova adesso a dover gestire una crisi molto profonda della sua squadra. Il periodo negativo ha sicuramente compromesso la stagione, ma nulla è ancora perduto. Nonostante tutto la Roma è a 6 punti dall’Atalanta quarta e a 14 partite dal termine non è un distacco irrecuperabile, anche se i bergamaschi sembrano avere tutt’altri ritmo e inerzia. Non sarà facile dunque per il tecnico portoghese mettere le mani su una squadra che sembra aver perso fiducia in se stessa, ma proprio per questo, se riuscirà a dare una svolta dal punto di vista psicologico nei prossimi giorni, avrà ancora tutte le possibilità di recuperare la stagione.

(Jacopo Venturi)

SERIE A – La Roma non vince più: l’Atalanta la batte e vola a +6

 

(R.Rodio) – Il 2020 per la Roma è un disastro. La squadra di Paulo Fonseca non sa più vincere, e per di più neanche pareggia. Terza sconfitta consecutiva di questo inverno sempre più freddo e buio.

I giallorossi perdono anche quando non demeritano, superati 2-1 nello scontro diretto dall’Atalanta. Fonseca reinventa la Roma, inserendo Mancini a centrocampo e tenendo fuori calciatori in calo di forma come Santon, Kolarov, Veretout e Under.

Una serata, quella del Gewiss Stadium, che sembra essere propizia: Pau Lopez si supera su Gomez, Ilicic e Zapata non girano ed è la Roma con un super-Dzeko a passare in vantaggio. Al 45′ errore grave di Palomino che regala il pallone al capitano giallorosso, il quale non sbaglia e segna l’undicesima rete stagionale.

Nella ripresa però la Roma rientra in campo con i soliti fantasmi e con un atteggiamento sottotono. All’Atalanta basta un quarto d’ora per ribaltare il risultato: prima Palomino devia in rete sugli sviluppi di un calcio d’angolo, poi il neo entrato Pasalic inventa il destro a giro del 2-1 finale.

Roma inerme, neanche gli ingressi dei nuovi arrivati Carles Perez e Villar servono a qualcosa. L’Atalanta chiude in scioltezza e vince, portandosi a +6 dai giallorossi che rischiano di dire addio all’obiettivo Champions League, a circa tre mesi dal termine del campionato.

Il tabellino del match:

ATALANTA (3-4-2-1): Gollini; Toloi, Palomino, Djimsiti; Hateboer, Freuler, De Roon, Gosens; Ilicic (84′ Malinovsky), Gomez (87′ Muriel); Zapata (59′ Pasalic). All: Gasperini.

ROMA (4-1-4-1): Pau Lopez; B.Peres, Smalling, Fazio, Spinazzola; Mancini (68′ Veretout); Kluivert (62′ C.Perez), Pellegrini, Mkhitaryan, Perotti (78′ Villar); Dzeko. All: Fonseca.

Arbitro: Orsato di Schio

Marcatori: 45′ Dzeko, 50′ Palomino, 59′ Pasalic

Viaggiando nella Hall Of Fame: Attilio Ferraris IV, il capitano che nascose Bruno Buozzi dai nazifascisti

Pagine Romaniste (F. Belli) – Gli inglesi avevano George Best, gli argentini Maradona, i romani Attilio Ferraris IV. Del resto Norman Mailer diceva che il genio è riuscire a stare in equilibrio sul bordo dell’impossibile. Quella del primo capitano della storia della Roma è una vita fatta di vizi e sregolatezze: dalle sigarette alle corse dei cavalli, ai mille amori vissuti tra le notti oscure della Città Eterna. “IV” perché quarto a giocare a calcio dopo i fratelli, tutti più scarsi di lui. Muove i primi passi nella Fortitudo e quando nasce la Roma nel 1927 con la fusione della sua società col Roman e l’Alba ne diventa immediatamente capitano. Il primo capitano della storia giallorossa. Non può essere altrimenti: è il più forte e carismatico delle società che hanno partecipato alla fusione. Non a caso è celebrato anche dalla canzone di Campo Testaccio“Poi ce sta Ferraris a mediano, bravo nazionale e capitano”. Tra i mille aneddoti che lo vedono protagonista nella Roma degli albori, il più simbolico è quello del giuramento: prima di ogni gara riuniva i compagni in cerchio e urlava: “Dalla lotta chi desiste fa una fine molto triste; chi desiste dalla lotta è un gran  ****** (il resto come si suol dire è fatto noto). Così lo descrive dopo il ritiro Ettore Berra, compianto giornalista sportivo piemontese: Ferraris aveva la dote di servire lungo. Si teneva in posizione arretrata e serviva l’attacco con lunghi traversoni che spaziavano il gioco offrendo spunti di offensiva senza peraltro scoprire la difesa”. Erano ricorrenti le sue bravate e le notti bianche che l’hanno portato più volte in collisione col presidente di allora, Renato Sacerdoti. Era un rapporto conflittuale il loro, alla “Odi et Amo”. Più volte il vaso della pazienza del patron è stato sul punto di traboccare, e l’11 marzo del 1934 la misura fu colma. I giallorossi, in vantaggio 3-0 al derby, si fanno rimontare sul 3-3 dopo l’ennesima notte brava e i due litigano furiosamente. Al capitano viene tolta la fascia e viene messo fuori squadra, così decide di lasciare la Roma. E’ un ultra trentenne e ormai il meglio della carriera sembra alle spalle.

La vittoria del Mondiale, il tradimento e perdono, il rifugio a Bruno Buozzi

E invece no. Il ct della Nazionale Vittorio Pozzo lo raccatta in una sala da biliardo a Via Cola di Rienzo e lo convince a rimettersi in forma per un po’ per recuperare in vista del Mondiale del ’34. Attilio si rimette in carreggiata e si presenta in formissima al ritiro, diventando in breve uno dei pilastri fondamentali per l’Italia campione del mondo a fine torneo. Poco dopo diventa anche un leone. A Highbury va in scena un’amichevole contro l’Inghilterra e gli azzurri sono sfavoriti. Sembra strano che la Nazionale campione del Mondo non abbia i favori del pronostico, ma gli inglesi, i maestri indiscussi, avevano snobbato la competizione per un mal riposto senso di superiorità. Del resto il calcio l’hanno creato loro. Dopo appena dodici minuti l’Albione è in vantaggio di tre gol e di un uomo. Tutto fa pensare a una disfatta storica e invece gli azzurri, trainati da Attilio che poi verrà nominato migliore in campo, accorciano le distanze con una doppietta di Meazza che sul finale prende anche una traversa. La stampa britannica celebrerà quella squadra come i “leoni di Highbury”. A livello di club le cose vanno peggio: con la ferita dell’addio ancora aperta decide per rivalsa di andare alla Lazio. Al primo derby a Testaccio i tifosi gli urlano di tutto: “Venduto, venduto!”, e altre cose indicibili e decisamente meno gentili. La sua avventura con i cugini dura poco però e qualche anno dopo torna alla Roma, disputando con i giallorossi la sua ultima stagione nel calcio che conta. Del resto non c’è vero tradimento senza perdono, e il tempo cura tutte le ferite. Morirà giovanissimo d’infarto mentre stava giocando una partita tra amici a MontecatiniTestimoni confermano che prima della gara abbia quasi profetizzato: “Non me fate fa la fine de Caligaris”, il terzino della Juventus morto pochi anni prima in campo. Ma visto che oggi è il 25 aprile, giorno della Liberazione dal nazifascismo, è importante anche ricordare un gesto eroico del primo capitano della storia della Roma. Dopo l’armistizio del ’43 ospita in casa sua ai Parioli un certo Mario Alberti, un signor nessuno visto che è un’identità falsa. In realtà è Bruno Buozzi, il “padre del sindacato”, ex deputato socialista inviso al regime Fascista già da molti anni. E’ uno degli obiettivi primari degli invasori, non a caso sarà ucciso comunque qualche mese dopo sulla Cassia. Per diventare un eroe non serve un’arma, ma grande cuore e coraggio. E Attilio ne aveva da vendere. Pagine Romaniste (F. Belli)