Le statistiche di Roma-Sampdoria 2-1: Fonseca indovina i cambi e Dzeko trascina al successo

(S. Valdarchi) – Dopo tanta attesa, riparte il campionato anche per la Roma, che contro la Sampdoria vince in rimonta, grazie alla doppietta di Edin Dzeko in risposta al vantaggio iniziale firmato da Gabbiadini. Gli uomini di Fonseca centrano il terzo successo consecutivo in Serie A, raggiungendo quota 48 punti, a -6 dall’Atalanta quarta in classifica. Vittoria figlia di una prestazione non brillante, in cui sono state messe a nudo le difficoltà dal punto di vista fisico dovute ai mesi di stop, ma citando il coro di una Curva Sud la cui assenza rende lo spettacolo meno avvincente: “Dammi tre punti, non chiedermi niente”, soprattutto questa volta, soprattutto in questa situazione. Non c’è il tempo per festeggiare però, perché i capitolini sono subito chiamati ad un altro impegno, domenica alle ore 17:15 a San Siro, dove saranno ospiti del Milan.

I numeri

Il pallino del gioco è stato, fin dal fischio d’inizio, in mano ai padroni di casa, ma guardando le statistiche la Sampdoria si è resa pericolosa quasi quanto la Roma. I dati infatti raccontano di una Samp in grado di andare al tiro 13 volte, contro le 16 dei capitolini, che hanno inquadrato lo specchio della porta una volta in più: 10 a 9. Il possesso palla è appannaggio della Roma, 61%, grazie anche all’atteggiamento dei blucerchiati che, passati in vantaggio dopo 11 minuti, si sono rinchiusi nella loro metà campo, provando a chiudere gli spazi e sperando di colpire in contropiede. Il baricentro dei doriani, infatti, è rimasto sempre piuttosto basso, 48,32 metri, con la differenza che nella ripresa gli uomini di Ranieri si sono allungati, circa 7 metri in media, lasciando margine tra le linee alla manovra giallorossa.

Anche il numero di passaggi riusciti è nettamente a favore della Roma, 520 contro i 282 degli avversari, mentre le formazioni hanno colpito un palo a testa, Jankto nel primo tempo e Kolarov da calcio piazzato sul risultato di 1 a 1. 10 a 8 i calci d’angolo battuti, con gli ospiti in grado di rendersi pericolosi nel finale di gara, a differenza dei romanisti che dalla bandierina non hanno mai impensierito seriamente Audero. Parità per quel che riguarda le parate7 a 7, con l’estremo difensore blucerchiato chiamato a due interventi decisivi. Nonostante i due squilli della Roma siano arrivati per vie centrali, Dzeko e compagni hanno preferito le fasce, in modo particolare la corsia mancina, per attaccare: 19 attacchi a sinistra, 10 a destra e 14 al centro.

Infine, nota sui cambi: delle cinque sostituzioni a disposizione, Ranieri ne ha utilizzate soltanto quattro a differenza del collega portoghese, che proprio con le forze fresche è riuscito a ribaltare il risultato e portare a casa i tre punti.

Le prestazioni individuali

Analizziamo le prestazioni di tre dei migliori interpreti romanisti, partendo da Jordan Veretout. Il centrocampista francese non ruba l’occhio, passa sottotraccia, ma effettua un lavoro fondamentale per gli equilibri della squadra. L’ex Fiorentina è, per distacco, l’uomo con più palle giocate nella gara, a quota 105 palloni toccati, dopo di lui Smalling a 79. Con il possesso a favore, la Roma di Fonseca si schiera a tre in difesa e ad abbassarsi ed impostare ci pensa proprio Veretout, con Diawara, nella sua serata peggiore da quando è a Roma, lasciato leggermente più alto. Un lavoro di impostazione della manovra che gli frutta 88 passaggi riusciti, ancora una volta il migliore tra i 31 scesi sul terreno verde dell’Olimpico. Sono 5 le palle recuperate e 2 i falli subiti. Veretout percorre 10,706 chilometri, appena 41 metri in meno rispetto a Ibanez, recordman giallorosso in questo dato. A dirla tutta, il numero 21 aveva anche provato a prendersi la scena, con un destro perfetto all’incrocio dei pali, ma Calvarese, applicando alla lettera un regolamento dissennato che già dal prossimo campionato verrà modificato, gli annulla il gol del pari per un tocco con il braccio di Carles Perez.

Altra nota positiva per la Roma sono i 29 minuti più recupero disputati da Lorenzo Pellegrini. Il numero 7 entra al 61′ al posto di un Pastore poco brillante e in una manciata di minuti illumina la serata romanista, ispirando la rimonta. Fonseca non lo rischia dall’inizio, per colpa di un recente affaticamento muscolare, ma l’estro e la tecnica sono rimasti quelli di sempre. Pellegrini, con la metà del tempo a disposizione rispetto al trequartista argentino, effettua 2 passaggi chiave ed al 64′, dopo circa 180 secondi dal suo ingresso in campo, offre ad Edin Dzeko un cioccolatino per la rete del pareggio. Nono assist per il romano in Serie A, terzo in questa speciale classifica a -1 dal Papu Gomez.

Chiudiamo in bellezza con Edin Dzeko. Il cigno di Sarajevo, da capitano e giocatore straordinario qual è, prende per mano una Roma impacciata, che fatica a costruire occasioni da gol e la trascina alla vittoria con due perle. Prima doppietta in stagione per il bosniaco, che sale a quota 14 reti in Serie A, a cui vanno aggiunte le 3 in Europa League, tutte quante realizzate su azione. Contro la Samp, oltre a finalizzare il gioco, funge da sponda per i compagni, da riferimento e uomo a cui affidare il pallone quando la squadra di Ranieri non concede spazi per le giocate nello stretto. Calcia 5 volte, prendendo sempre lo specchio della porta e battendo in due occasioni Audero. Crea 4 delle 7 occasioni da gol della Roma. Arrivato nell’estate del 2015 nella Capitale, il numero 9 continua ad infrangere record ed entrare di diritto nella storia romanista: con le ultimi due reti arriva a quota 104 realizzazioni con la maglia giallorossa, agganciando Pedro Manfredini alla quinta posizione della classifica marcatori all-time del club.

(S. Valdarchi)

Le imprese della Roma in Europa: Totti riscrive la storia al Bernabeu

Alice Dionisi – Quando la Roma ha affrontato il Real Madrid in occasione della Guinness International Champions Cup nell’estate del 2014, vincendo 1-0 grazie ad un gol di Francesco Totti, il pensiero del capitano sarà stato “Déjà-vu”. Nella stagione 2002/2003 gli avversari dei giallorossi in Champions League nella prima fase a gironi (ne erano ancora previste due, con la seconda al posto degli ottavi di finale), oltre ai Blancos, erano AEK Atene e Genk. L’avventura in Europa non inizia nel migliore dei modi: una sconfitta per 3-0 contro i Galacticos allo Stadio Olimpico e un pareggio 0-0 in Grecia. La prima vittoria arriva grazie ad una rete di Antonio Cassano in casa contro il Genk, poi al ritorno contro i belgi la Roma non va oltre lo 0-0.

NOTTE DI SOGNI, DI COPPE E DI CAMPIONI

Il 30 ottobre del 2002 Fabio Capello è pronto per sfidare nuovamente i campioni in carica del Real Madrid. Al Santiago Bernabeu Vicente Del Bosque sfodera l’artiglieria pesante: Casillas tra i pali, Salgado, Hierro, l’ex giallorosso Helguera, Roberto Carlos, Cambiasso, Makelele, Figo, Raul, Zidane e Ronaldo. La Roma risponde Antonioli, Panucci, Aldair, Samuel, Candela, Cafu, Tommasi, Emerson, Delvecchio, Montella e Totti. Durante i primi minuti di gioco Raul si rende protagonista, prima con un tentativo di testa, poi con un gol annullato per fuorigioco. La reazione dei giallorossi arriva prontamente qualche minuto dopo. Al 27’ del primo tempo Montella serve a Totti la palla gol e il numero 10 non si lascia sfuggire l’occasione, siglando la rete della vittoria. I padroni di casa provano a recuperare la partita, ma Antonioli nega insistentemente il pareggio a Ronaldo e Raul, salvando il risultato. Il fischio dell’arbitro Dallas sancisce la fine e avvicina la Roma alla qualificazione per il turno successivo.

STORICA

I 3 punti conquistati sono fondamentali per il passaggio del turno (come secondi, a pari punti con gli spagnoli) ma sono anche una conquista storica: erano 35 anni che una squadra italiana non vinceva a casa del Real Madrid. La Grande Inter nel ’67 era stata l’ultima a trionfare al Bernabeu ma il gol di Totti sfata il mito dei Galacticos. Il capitano lo sapeva, “Mi sono regalato un sogno, me lo sentivo che avrei segnato qui a Madrid come era accaduto lo scorso anno” (ottobre 2001, Real Madrid-Roma 1-1, ndr). Gli avversari si tolgono il cappello, Casillas ammette: “Mi ha fatto venire i brividi”. Se ne ricorderanno anche i tifosi spagnoli, quando nel 2016 omaggeranno Totti con una standing ovation al momento del suo ingresso in campo. Una vittoria di misura ma anche un’impresa. Capello è certo “Qui non si vince se non si è grandi” e la Roma la sua grandezza quella sera l’ha mostrata.

Alice Dionisi

 

Le imprese della Roma in Europa: Real Madrid, buona la prima

Alice Dionisi – Stagione 2007/2008. La prima Roma di Luciano Spalletti in Champions League si piazza seconda nella fase a gironi, alle spalle del Manchester United. Il 21 dicembre a Nyon si tengono i sorteggi per gli ottavi di finale: i giallorossi affronteranno il Real Madrid di Cannavaro, Robben e Van Nistelrooy. Unico precedente di vittoria contro i Galacticos nel 2001, una partita che però racconteremo un altro giorno.
ILLUSIONE RAÚL
La gara di andata si gioca allo Stadio Olimpico. Dopo appena 8 minuti i blancos si portano in vantaggio con un gol di Raúl. Nell’azione successiva l’arbitro Fandel nega alla squadra ospite il raddoppio per fuorigioco e al 21’ los merengues sono ancora vicini al secondo gol. Tre minuti dopo è Pizarro a ristabilire la parità, il Pec scaglia il pallone verso la porta e spiazza Casillas: 1-1. Nella ripresa Mancini vanifica il tentativo di Cannavaro di salvare il risultato e insacca in rete. È il 58’ e l’Olimpico esplode, la Roma è in vantaggio. La partita è ancora lunga e il Real Madrid cerca il pareggio, ci provano Sergio Ramos, ancora Raúl e Diarra, ma la risposta dei giallorossi è sempre un secco “no”. Triplice fischio, sugli spalti è festa. Mister Spalletti è contento dei suoi ragazzi: “Oggi mi sono arrabbiato poco, perché la squadra ha fatto tutto talmente bene…”.
LA REPLICA
Al Santiago Bernabeu i padroni di casa sono chiamati a riscattare la gara d’andata, ma è di nuovo la Roma a prendere in mano le redini della situazione. Il clou della serata sono i venti minuti finali, l’espulsione di Pepe al 71’ lascia la squadra allenata da Schuster in inferiorità numerica e Taddei sfrutta la situazione, portando i giallorossi in vantaggio 2 minuti dopo. Lo 0-1 dura appena 120 secondi, Raúl batte di nuovo Doni, con il VAR il gol sarebbe stato annullato per fuorigioco (forse, con la Roma non si sa mai). 15 minuti col fiato sospeso, basterebbe una rete del Real Madrid per andare ai supplementari. Subentrato al posto di Mancini, ci pensa Mirko Vucinic in pieno recupero a replicare il risultato d’andata. Per il secondo anno consecutivo Spalletti porta la squadra tra le migliori otto di Europa, approdando ai quarti grazie ad un 4-2 complessivo ai campioni di Spagna. “Qualcuno credeva che la Roma non fosse un’avversaria all’altezza del Real Madrid ma i giallorossi hanno dimostrato che si sbagliava” ha raccontato Schuster. Nonostante il doppio tentativo, anche capitan Raúl alla fine si è arreso: “Eravamo convinti di qualificarci, invece la Roma è stata più brava di noi”. Andata e ritorno.

Alice Dionisi

 

Il Torino vuole Perotti ma Cairo lo prenderebbe solo con Petrachi via da Roma

Pagine Romaniste (F. Belli) – L’esperienza di Gianluca Petrachi alla direzione sportiva della Roma è ad un bivio cruciale. La frattura che si è creata tra lui e il presidente Pallotta rischia di esplodere da un momento all’altro, senza esclusione di colpi e con imprevedibili conseguenze. Il futuro del direttore sportivo è anche un nodo importante in una trattativa di mercato. Il Torino sta infatti cercando una seconda punta e ha puntato, oltre a Joao Pedro del Cagliari, anche Diego Perotti. Il patron granata Urbaino Cairo però non vuole intavolare una trattativa con il suo ex direttore Petrachi dopo i forti dissapori della scorsa estate e quindi proverebbe a sferrare il colpo finale per l’argentino solo in caso di addio alla Roma del pugliese. Una situazione non semplice da gestire a Trigoria. La situazione potrebbe comunque risolversi in altro modo visto che sembra esserci stata anche una rottura tra la società giallorossa e Petrachi. A portare alla dissoluzione del rapporto, infatti, è stato l’orgoglio che il d.s. avrebbe mostrato anche negli ultimi giorni, quando gli è stato chiesto di scusarsi col presidente Pallotta – a cui giovedì aveva fatto inviare (non conoscendo l’inglese) un messaggio definito irriguardoso. Ma il dirigente non ha raccolto l’invito, dicendo anzi che era a lui che avrebbero dovuto fare le scuse. Il “casus belli”, peraltro, era così piccolo da far sorridere: Pallotta non aveva citato il d.s. nel giorno dell’anniversario della firma di Fonseca (Fienga e Zubiria lo erano), cosa peraltro non vera, perché – essendo stati estrapolate frasi da una intervista più lunga – le citazioni c’erano, ma in quel momento non erano pertinenti con l’evento. Insomma, un misunderstanding che potrebbe creare non pochi problemi ad una squadra che già in campionato non naviga in acque bellissime, distanziata più di sei punti dall’Atalanta di Gasperini. Eppure Paulo Fonseca sperava che queste ore servissero a scegliere chi tra Pellegrini e Pastore dovesse affiancare Mhkitaryan e Dzeko nella partita “d’esordio” contro la Sampdoria. Invece s’è ritrovato immerso nell’ennesima tempesta primaverile della Roma societaria.

Francesco Belli

La meglio gioventù – Matteo Politano: non tutte le strade riportano a Roma

(S. Valdarchi) – Nel 1993 a Monte Mario è nato un bambino di nome Matteo, che è cresciuto guardando lo Stadio Olimpico e sognando di giocarci dentro un giorno, vestendo la maglia della sua squadra del cuore: la Roma. 27 anni dopo, Matteo Politano non è ancora riuscito a realizzare quel sogno, nonostante ci sia andato vicino moltissime volte. Dal 2000 al 2004 gioca nella Selva Candida, ma la netta superiorità nei confronti dei pari età lo mette in mostra ben presto e ad 11 anni viene notato dagli osservatori della Roma, che lo portano al Fulvio Bernardini. Gioca fin da piccolo come esterno offensivo, piede mancino, rapido e bravo tecnicamente, ama partire largo a destra per rientrare e creare pericoli con tiri in porta ed assist per i compagni. Per quel che riguarda la Nazionale, ha compiuto tutta la trafila dall’Under 19 in poi, arrivando a collezionare 3 presenze ed un gol per la selezione maggiore.

Gli anni a Trigoria

Come detto, l’attaccante arriva alla Roma da giovanissimo, nel 2004. La prima stagione degna di nota è quella del 2009/10, quando Politano e compagni, guidati da Andrea Stramaccioni, conquistano il titolo di Campioni d’Italia nella categoria Allievi Nazionali. Dal 2010 al 2012 rimane a disposizione di Alberto De Rossi e con la Primavera giallorossa arriva il secondo titolo della sua ancor giovane carriera: lo Scudetto del 2010/11. Nell’estate del 2012, l’esterno romano lascia la Capitale senza veder realizzato il sogno di esordire all’Olimpico ed approda in prestito al Perugia.

Tra Perugia e Pescara

In Umbria, Politano gioca da titolare in Lega Pro, aiutando il Grifone a raggiungere anche i playoff per la Serie B. L’annata a Perugia frutta al classe ’93 33 presenze e 8 gol. Al termine della stagione, viene richiamato a Roma, dove però rimane soltanto qualche mese, prima di essere ceduto, questa volta in comproprietà al Pescara. In Abruzzo gioca due campionati di Serie B, allenato da Serse Cosmi prima e Massimo Oddo poi. Entrambi i tecnici puntano forte sul talento capitolino, che riesce a scendere in campo per ben 81 volte, segnando 12 gol e fornendo 10 assist. Numeri che convincono la Roma, nell’estate del 2015 ad aggiudicarsi alle buste il suo cartellino.

L’exploit al Sassuolo

Dopo i tre anni lontano da Trigoria, la storia si ripete e passati gli esami in Serie C e B, per Matteo Politano arriva la prima esperienza nella massima competizione. La nuova destinazione è il Sassuolo, dove Eusebio Di Francesco stravede per lui e lo vuole come esterno d’attacco nel suo 4-3-3. In Emilia arriva la definitiva esplosione di Politano, che partecipa alla stagione da favola dei neroverdi nel 2015/16, raggiungendo la storica qualificazione in Europa League. In quel campionato segna anche il suo primo gol in Serie A, proprio all’Olimpico contro la squadra in cui è cresciuto e per cui, da sempre, fa il tifo. A fine anno, il Sassuolo lo riscatta e, per la prima volta dal 2004, il cartellino di Politano non è di proprietà della Roma. Rimane in neroverde fino al giugno del 2018, facendo il suo debutto in Europa League e finendo la sua esperienza con 110 presenze, 24 gol e 14 assist.

L’Inter, il mancato ritorno a casa ed il trasferimento ai piedi del Vesuvio

A luglio 2018, Luciano Spalletti convince l’Inter ad investire su Politano e la società nerazzurra lo acquista in prestito con diritto di riscatto. Il classe ’93 trascorre una stagione e mezza a Milano, per un’esperienza a due facce. Nella prima stagione, infatti, l’esterno viene messo al centro del progetto tecnico e gioca praticamente sempre, debuttando anche in Champions League. La successiva, invece, inizia con un cambio sulla panchina interista: Antonio Conte prende il posto di Spalletti e le cose per Matteo Politano mutano rapidamente. Il tecnico pugliese cambia modulo e nel suo 3-5-2 non c’è spazio per l’attaccante romano. Proprio per questo, durante la sessione invernale di mercato, l’Inter decide di venderlo. Si intavola una trattativa con la Roma, che propone come pedina di scambio Leonardo Spinazzola. Politano atterra a Fiumicino, fa le foto con la sciarpa giallorossa e si sottopone alle visite mediche, tutto pronto per il suo ritorno a casa. Tuttavia, come spesso accade nel calciomercato, le cose cambiano in fretta e l’accordo salta per dettagli ancora non del tutto chiari. Fatto sta che il romano abbandona la sua città con le lacrime agli occhi e pochi giorni dopo viene ceduto al Napoli, in prestito con obbligo di riscatto. In Campania gioca soltanto 7 partite, complice lo stop al calcio dello scorso marzo.

(S. Valdarchi)

Le imprese della Roma in Europa: lo spareggio con l’Hibernian

Alice Dionisi – La regola dei gol fuori casa non ha sempre portato bene alla Roma. A volte è bastato il piede destro di Bruno Peres sulla linea della porta, altre invece la rete fatale è arrivata quando eravamo già pronti a festeggiare, in attesa soltanto del triplice fischio. Prima ancora dell’introduzione della norma da parte della UEFA, in caso di parità c’erano gli spareggi. I giallorossi hanno anche affidato il loro destino al lancio di una monetina, non sempre atterrata dal lato giusto. Se nella stagione 1960-61 fossero esistiti gli “away goal” la Roma non avrebbe portato a casa la Coppa Delle Fiere.

Era il 27 maggio del 1961 e sulla panchina sedeva Alfredo Foni. Nel doppio confronto con l’Hibernian in semifinale arrivarono due pareggi: 2-2 in Scozia e 3-3 in casa. Il torneo reclamava una finalista e venne estratto lo stadio Olimpico per la terza gara supplementare. Tra le mura amiche, davanti ai suoi tifosi, i giallorossi riuscirono nell’impresa che consentì loro di proseguire il cammino che li portò al primo trofeo europeo della storia del club.

Dopo essere rimasto a secco nella gara d’andata all’Easter Road di Edimburgo, Pedro “Piedone” Manfredini segnò una doppietta nella gara di ritorno. Al bomber argentino però non bastavano più neanche le triplette -quelle si limitava a segnarle alla Lazio in campionato-, così nella partita decisiva all’Olimpico realizzò quattro gol in meno di 60 minuti. La prima arrivò subito dopo il fischio d’inizio, poi ancora al 10’, al 35’ e al 57’. Manfredini aprì le danze al trionfo della Roma, Menichelli e Selmosson si unirono per firmare il definitivo 6-0 sugli scozzesi. Panetti in porta negò all’Hibernian anche la mera consolazione di finire sul tabellino dei marcatori dal dischetto: la vittoria fu tutta a tinte gialle e rosse.

L’assenza della regola dei gol in trasferta permise alla Roma di disputare la finale di Coppa Delle Fiere contro il Birmingham. Quella finale, poi, la Roma la vinse. Questa però è un’altra storia.

Alice Dionisi

Le imprese della Roma in Europa. Il cammino in Coppa dei Campioni, il Dundee United

Alice Dionisi – Vincere è sempre bello. Vincere quando tutti ti danno già per sconfitto però lo è ancora di più. Dopo aver conquistato il secondo scudetto nella stagione 1982-83, la Roma l’anno successivo disputa per la prima volta la Coppa dei Campioni. I giallorossi allenati da Nils Liedholm nella loro prima apparizione tra “i grandi” affrontano e sconfiggono gli svedesi del Göteborg, i bulgari del CSKA Sofia e i tedeschi della Dinamo Berlino.

DOCCIA FREDDA AL TANNADICE PARK

In semifinale è Roma-Dundee. In Scozia, l’11 aprile 1984, finisce 2-0 per i padroni di casa, davanti a 3.000 tifosi in trasferta. I giallorossi, senza Falcão, al Tannadice Park subiscono le reti di Dodds e Stark. Una doccia fredda per chi, come il presidente Dino Viola, aveva creduto in un sorteggio fortunato contro “i pescatori”. Il sogno della finale allo Stadio Olimpico diventa chimera. Oltre il danno, la beffa; a fine partita la squadra tornò negli spogliatoi accompagnata dagli insulti: “Italian bastards”.

LIBERAZIONE

Il ritorno si gioca il 25 aprile. I giallorossi chiedono e ottengono il permesso di giocare il pomeriggio, un orario insolito e una temperatura alla quale i campioni di Scozia non erano abituati. L’arbitro Vautrot annulla un gol a Bruno Conti, ma poi ci pensa Roberto Pruzzo. O Rey di Crocefieschi impiega 17 minuti per azzerare il vantaggio del Dundee, al 21’ segna di testa su azione da calcio d’angolo, poi replica al 38’. Nella ripresa McAlpine atterra Pruzzo, il fischietto francese indica il dischetto: è calcio di rigore. La responsabilità di tirare se la prende il capitano, Agostino di Bartolomei. È 3-0, la rimonta è servita. Nella festa generale di uno Stadio Olimpico che registrava il record di presenze, Sebino Nela volle prendersi una rivincita in più, andando a mostrare il dito medio all’allenatore McLean che non si era risparmiato le offese nella gara d’andata. Non era il Barcellona di Messi e Iniesta e la Roma non partiva da un netto 4-1 a sfavore. La voglia di rivalsa, però, era la stessa. La “Romantada”, parte 1.

Alice Dionisi

 

Le imprese della Roma in Europa: Coppa Uefa 90/91

Alice Dionisi – Della ventesima edizione della Coppa Uefa, quella della stagione 1990/1991, la maggior parte dei tifosi ricordano lo sfortunato epilogo nella doppia finale contro l’Inter, ma il cammino della Roma per arrivare in fondo alla competizione merita di essere ricordato. È l’anno in cui la società passa dalle mani di Dino Viola, a quelle della moglie Flora, che poi conduce la trattativa per la cessione del club a Giuseppe Ciarrapico. È l’anno in cui sulla panchina giallorossa siede Ottavio Bianchi, giunto nella Capitale dopo quattro anni al Napoli, ma soprattutto dopo la conquista del primo scudetto della storia dei partenopei. È l’anno in cui l’organico della squadra viene arricchito dall’arrivo di Aldair, ma anche la stagione al termine della quale Bruno Conti appenderà gli scarpini al chiodo, ritirandosi dal calcio giocato. È l’anno in cui la Roma vince la Coppa Italia contro la Sampdoria campione d’Italia e, appunto, arriva a disputare la finale di Coppa Uefa contro l’Inter di Trapattoni.

Europa

Il cammino dei giallorossi inizia contro il Benfica. Nella doppia sfida contro i portoghesi arrivano due vittorie per 1-0 che permettono alla squadra di accedere alla fase successiva. Nei sedicesimi di finale è il turno del Valencia, dopo un pareggio in Spagna per 1-1, il ritorno all’Olimpico vede la Roma imporsi per 2-1, grazie alle reti di Giannini e Völler (capocannoniere della competizione). Il tedesco volante si rende protagonista anche della fase successiva: una tripletta nella gara d’andata contro il Bordeaux, vinta per 5-0, e un gol in quella di ritorno, finita 2-0. Un 7-0 complessivo contro i francesi apre le porte ai quarti di finale, dove quattro squadre su otto sono italiane, insieme ai giallorossi e all’Inter ci sono anche Atalanta e Bologna. Gli avversari sono i belgi dell’Anderlecht, reduci dalla finale di Coppa delle Coppe l’anno precedente e che nella stessa stagione conquistano il titolo nazionale. La gara d’andata allo stadio Olimpico vede la Roma imporsi per 3-0, un successo firmato da Desideri, Völler e Rizzitelli. Il ritorno al Constant Vanden Stock Stadium di Bruxelles vede splendere, ancora una volta, l’attaccante tedesco. Un’altra tripletta, che rende vane le due reti segnate nel finale da Kooiman e Lamptey. Così il cammino della formazione allenata da Ottavio Bianchi prosegue fino alle semifinali, dove incontra i danesi del Brøndby. Nei primi 90 minuti il punteggio resta fisso sullo 0-0, poi arriva il successo in casa per 2-1. Dopo il gol di Rizzitelli, l’autorete di Nela fa tenere il fiato sospeso ai tifosi sugli spalti per 25 minuti, ma all’87’ è sempre Völler a risolvere la partita e trascinare la Roma in finale.

Maledizione Olimpico

Questa storia però, purtroppo, non ha un lieto fine. Nella prima partita, disputata al Meazza, l’Inter si impone per 2-0, sbloccando la partita grazie ad un rigore dubbio assegnato dall’arbitro russo Spirin, trasformato da Matthäus e seguito dal raddoppio di Berti. Il ritorno si gioca in casa, il 22 maggio del 1991, in uno Stadio Olimpico tutto esaurito. Il gol arriva troppo tardi, all’81’ va a segno Ruggiero Rizzitelli, regalando ai giallorossi l’illusione di poter ancora conquistare i supplementari. La seconda rete non arriva e i nerazzurri, pur uscendo sconfitti, conquistano la Coppa Uefa. Le mura di casa ancora una volta sono teatro della disfatta. “Una finale che ancora oggi non digerisco– ha commentato in seguito Rizzitelli-. In quel torneo facemmo un cammino straordinario, anche in quelle due partite meritavamo di vincere la coppa. Il nostro errore fu San Siro, non eravamo come l’Inter, squadra esperta di queste competizioni. Voglio ricordare quel rigore concesso per cui qualcuno urla ancora allo scandalo, possiamo urlarlo anche noi. Dopo il rigore eravamo ancora a protestare, loro hanno segnato di nuovo. Nel ritorno ce la mettemmo tutta, presi subito un palo, se avessi segnato subito sarebbe stata un’altra storia. Questa coppa volevamo dedicarla al grande presidente. Mi fa male, ancora. Sono immagini che non voglio mai vedere. È dura, non riesci mai a dimenticare, era una cosa che volevamo tutti e non ci siamo riusciti. Ci abbiamo messo l’animo, il cuore, non ce l’abbiamo fatta”.

Alice Dionisi

 

Portieri a confronto: Pau Lopez domina su Mirante e Fuzato, ma il rendimento è da metà classifica

(S. Valdarchi) – In attesa che il campionato possa ripartire e nella speranza di portare a termine la stagione calcistica 2019/20, analizziamo le statistiche dei giocatori della Roma fin qui. Per ogni ruolo, vedremo, in base ai dati, i migliori calciatori giallorossi per rendimento. Partiamo con quella che probabilmente è la posizione più delicata nel mondo del calcio: il portiere. Dei tre estremi difensori a disposizione, Paulo Fonseca nelle gare ufficiali ne ha utilizzati soltanto due: Pau Lopez ed Antonio Mirante. La titolarità tra i pali l’ha guadagnata lo spagnolo, arrivato in estate dal Real Betis a fronte di 23,5 milioni di euro. Il terzo portiere a disposizione Daniel Fuzato, a Roma dal 2018, non ha ancora fatto il suo esordio in prima squadra.

Pau Lopez

Al primo anno in Italia, il rendimento di Pau Lopez è stato nel complesso positivo. Le prestazioni di un portiere, come sempre, dipendono molto dalla tenuta difensiva della sua squadra e, in questo campionato, la formazione di Fonseca non è stata eccezionale in quanto ad azioni subite. Guardando alla Serie A, la Roma dopo 26 giornate ha concesso 35 reti (tutte con Pau Lopez in campo), risultando l’ottava difesa italiana. Aggiungendo le 9 gare di coppa (Europa League e Coppa Italia) in cui lo spagnolo è sceso in campo, si arriva a 43 gol subiti. Per quanto riguarda i così detti clean sheet, le partite terminate senza reti al passivo, Pau ne ha collezionati 9, di cui 5 in Serie A, in stagione su 34 presenze, con una percentuale pari al 26,5%. Ritornando nei confini del campionato, il numero 13 romanista ha effettuato 79 parate, di cui molte decisive, basti pensare alle due sui campi di Bologna e Genoa. Non sono mancati, come ovvio, anche alcuni errori nel corso del suo percorso, il più evidente e fresco nei ricordi dei tifosi è quello nell’ultimo derby, in occasione del pareggio di Acerbi. Episodio però, viziato da una carica non sanzionata dal direttore di gara. Infine, dal dischetto, il classe ’94 ha subito 7 gol, parando un rigore a Joao Pedro (che ha ribadito in rete sulla ribattuta), nell’ultima gara giocata dalla Roma a Cagliari, prima dello stop alle competizioni.

Mirante

L’estremo difensore campano, fin qui, ha disputato tre gare, due in Europa League ed una in Serie A. Delle due partite europee, nell’ultima in casa contro il Wolfsberger è stato costretto ad abbandonare il campo dopo un’ora di gioco, per un’infortunio al menisco. Nei 240′ tra i pali, Antonio Mirante ha subito 2 reti (1 gol ogni 120 minuti), entrambe contro il Wolfsberger tra andata e ritorno, mentre ha terminato con la porta inviolata la trasferta di Milano contro l’Inter. La Roma, con Mirante in porta, ha ottenuto 3 pareggi, per una media perfetta di un punto a partita.

Confronto

Per avere qualche termine di paragone e poter valutare al meglio le prestazioni di Pau Lopez, consideriamo altri numeri dalle altre squadre di Serie A. La classifica di parate è guidata da Etrit Berisha, della SPAL, con 117 salvataggi effettuati. Questo dato però risulta piuttosto sensibile alla capacità della propria formazione di non concedere molte conclusioni agli avversari. La peggior difesa, invece, risulta essere quella del Lecce. I salentini hanno subito 56 reti in 26 partite, per una media di 2,15 gol ogni 90 minuti. La miglior difesa, invece, è quella della Lazio, con 23 gol subiti. Per quanto riguarda i clean sheet, è Donnarumma il portiere ad averne portati a casa il maggior numero: 10; seguito da SilvestriStrakosha e Musso a quota 9. Infine, una curiosità: Antonio Mirante, avendo disputato una sola gara in campionato (Inter-Roma 0-0), guida la classifica delle porte inviolate in percentuale, con il 100%.

(S. Valdarchi)

Le imprese della Roma in Europa: il Chelsea, notte da lupi

Alice Dionisi – Champions League 2017/2018. L’opinione pubblica dopo i sorteggi è abbastanza chiara, “Girone di ferro per la Roma” che dovrà affrontare l’Atletico Madrid del Cholo Simeone e il Chelsea di Antonio Conte, con gli azeri del Qarabag a rendere un po’ meno spaventosa la fase a gironi. Nelle gare di andata i giallorossi allenati da Eusebio Di Francesco pareggiano in casa contro gli spagnoli 0-0, vincono a Baku 2-1 e pareggiano 3-3 allo Stamford Bridge.

AGGHIACCIANTE

Il ritorno contro i Blues si gioca il 31 ottobre, la notte di Halloween. La Roma affila le unghie e scende in campo sul prato dello stadio Olimpico con la voglia di riscattare il pareggio di Londra, che andava un po’ stretto. 40 secondi dopo il fischio d’inizio dell’arbitro Eriksson, El Shaarawy sale in cattedra: Kolarov, poi Dzeko che fa sponda di testa per il Faraone, è 1-0, un vero e proprio “eurogol”. Gli uomini allenati da Conte ci provano, ma Alisson in porta abbassa la saracinesca, non si passa. Al 36’ Rüdiger fa un regalo ai suoi ex compagni e manda di nuovo in porta il numero 92 che coglie l’occasione e firma la doppietta, El Shaarawy come Vucinic nel 2008. Si va a riposo sul 2-0, ma lo spettacolo non è ancora finito. Nella ripresa è Perotti a chiudere i conti, el Monito al 63’ segna il 3-0 definitivo. Una serata “agghiacciante” per Antonio Conte.

DOLCETTO, NESSUNO SCHERZETTO

La ciliegina sulla torta ce la mette il Qarabag, che ferma l’Atletico Madrid in casa pareggiando 1-1. Nella notte delle streghe a fare paura sono i lupi (e i faraoni). Di Francesco domina Conte, il Chelsea mette il travestimento da fantasma. La Roma è prima nel suo girone, gli avversari non sembrano più così proibitivi. Non sarà la sconfitta al Wanda Metropolitano a fermare la squadra, la vetta resta giallorossa, il lasciapassare per gli ottavi è quello delle “big”. L’inizio di un sogno da campioni.

Alice Dionisi