Tacopina: “Passo molto tempo in Italia, questa è la differenza con Pallotta. Totti? E’ una leggenda”

Simone Burioni – Joe Tacopina, attuale numero uno del Venezia, con un passato da vice presidente della Roma e da presidente del Bologna, ha parlato delle sue esperienze nel calcio, in particolare nella Capitale, dei rapporti di amicizia che si sono creati e dell’attuale presidente giallorosso James Pallotta. L’avvocato yankee con l’Italia nel cuore parla già da presidente navigato: «Devi mettere la faccia nel tuo progetto affinché ti riconoscano come uno di loro», mantenendo però la passionalità che lo contraddistingue da altri: «L’Italia è il mio paese e le opportunità che io considero sono solamente qui».

Perché ha deciso di investire in Italia?
Ho deciso di investire in Italia perché amo questo paese. Andai a vedere il derby tra Roma e Lazio ed era la prima volta che vedevo uno stadio così pieno. Cinquantamila persone cantare insieme per due ore, fu un momento eccitante ed era una cosa completamente nuova per chi viene dalle mie parti. Io stavo cercando un luogo dove investire e mi sono reso conto che il valore dei club, rispetto alle mie valutazioni, era basso. Per questo era una grande opportunità. E’ incredibile quanta gioia abbiamo provato quando abbiamo preso la Roma. Nella NBA per ottenere risultati bisogna spendere una cifra molto più alta. Per la gente del mio paese il calcio è un business, anche se comporta tante responsabilità. In Europa ci sono tante opportunità, per esempio in Francia o in Inghilterra, ma non sono adatte a me, io sono troppo passionale: il mio paese è l’Italia e le opportunità che io considero sono solamente qui. Ho aperto per primo le porte degli investimenti nel calcio italiano. Io ed il mio avvocato conoscemmo Thomas Di Benedetto ed abbiamo deciso di aggiungerci alla cordata per comprare la Roma.

Il presidente deve essere tifoso o basta che ci metta i soldi?
Deve essere entrambi, un presidente sano ha entrambe le cose. Se investi solamente perché sei tifoso, quindi non hai veri propositi di business, ma lo fai solamente per essere importante nella città, il club avrà delle carenze a livello societario. Devi avere le abilità di trovare la giusta squadra e di saper rispettare tutti gli step finanziari. Devi fare entrambe le cose per fare il presidente. Serve la tua faccia nel tuo progetto, devi vivere la città e la squadra, questi devono sapere che sei uno di loro. Questa è la ragione per cui io passo tanto tempo a Venezia.

Questo è uno dei punti per cui Pallotta viene molto criticato dai tifosi. Che ne pensa?
Ho letto delle critiche su di lui, ma preferisco non commentarle, almeno finché non lo vedrò a cena e non sarà lui a rispondere alle mie domande.

In che cosa lei e Pallotta siete simili? In cosa siete diversi? 
L’unica grande differenza tra me e Pallotta è quella di essere spesso qui. Io passo molte giornate in Italia a lavorare sui miei progetti, perché è importante. Non sono a Roma e non conosco i suoi programmi, non voglio parlare di Jim o del suo lavoro, per favore.

Che cosa ha pensato al suo arrivo nella Capitale? Le scattarono subito una foto con la sciarpa della Roma…
Quando vedo quella foto penso subito che ero molto grasso nel 2008, guarda la grandezza della mia faccia (ride, ndr). Davvero, la vedo e penso al mio primo approccio all’AS Roma assieme a George Soros. Noi parlammo con la famiglia Sensi e firmammo un contratto preliminare. Fu l’inizio della mia avventura a Roma e nel calcio. Arrivai all’aeroporto di Fiumicino e alcuni tifosi mi misero la sciarpa della Roma al collo, fu l’inizio di tutto il progetto.

Perché il primo tentativo nel 2008 non è andato a buon fine?
Non voglio entrare nella negoziazione tra la Roma e Soros, è una questione passata, si parla di dieci anni fa. Preferisco parlare della seconda volta: ho ricevuto la chiamata, due anni dopo, di Unicredit, che mi chiese se volevamo fare un gruppo unico per comprare la società ed abbiamo avuto successo.

Rimpiange qualcosa della sua esperienza nella Roma?
No, non potrei farlo. Siamo stati vicino allo Scudetto e siamo stati stabilmente nelle grandi squadre d’Europa. Tutto però accade per una ragione, Tom Di Benedetto era il presidente ed io lo il suo vice. Con il tempo, dopo quattro anni, alcune dinamiche sono cambiate ed il mio percorso alla Roma era finito. Amavo la squadra, ma non ho rimpianti perché è stata una grande esperienza dove ho trovato tanti amici, come Tonino Tempestilli, che ancora lo è, ma anche altri come Daniele De Rossi, Francesco Totti e Vito Scala. E’ stata davvero una bella esperienza.

Le piace Totti nel suo nuovo ruolo?
Francesco Totti è una leggenda nella Roma ed il giocatore più importante della sua storia. Lui sarà un dirigente molto importante perché è Totti, perché la gente ascolta le sue parole, ha influenza su di loro. Imparerà il ruolo così come ha imparato a giocare a calcio, può essere un grande dirigente. Francesco non è altro che un vincente, sono molto felice nel vederlo ancora a Roma.

Ha mai pensato ad una sinergia tra la Roma ed il Venezia? 
Nei due anni passati non c’è mai stata una sinergia. Forse in futuro, quando saliremo in Serie A, sarà possibile lavorare insieme, ma vedremo. Ora abbiamo grandi rapporti con il Real Madrid. Io ed Emilio Butragueño siamo molto amici e lavoriamo spesso insieme. Possiamo imparare molto perché il Real è il club numero uno riguardo al business.

Simone Burioni

Monchi chiede fiducia: “Il mio lavoro è vincere”

Gianluca Notari – Cinque Europa League, due Coppe del Re, una Supercoppa di Spagna e una Supercoppa Europea. Quando Monchi dice che il suo mestiere è quello di vincere, forse non ha tutti i torti. Quelle elencate sopra sono tutte le coppe vinte dal direttore sportivo quando era a Siviglia, un club dove ha speso una buona parte della sua vita, prima da calciatore e poi da dirigente. Infine, dopo anni di successi, la scelta di venire a Roma, per “poter essere il vero Monchi“, parola sua.

Intervistato da Gianluca di Marzio durante il programma Calciomercato, l’Originale di Sky, Monchi ha fatto conoscere alcuni lati di sé fino ad ora poco noti ai tifosi, come ad esempio il suo stacanovismo: “Arrivo a Trigoria alle 7.30: la mattina ho bisogno di fare esercizio fisico e quella è l’ora in cui non mi chiama nessuno“. Tra le sue passioni ci sono quella per il Carnevale di Cadice (“E’ un Carnevale diverso, e nel 2010 ho fatto il concorso di canto. Arrivai nono su 180 partecipanti“) e quella per la Roma:Sono innamorato di questa società dal momento in cui sono arrivato. Ho capito subito quanto i tifosi tengono a questa società“. Eppure, la Roma non è solo passione, ma anche tanto lavoro. Lo sa bene il ds, che dice la sua sull’impronta che vorrebbe dare alla sua squadra: “I numeri sono importanti perché siamo un’azienda, ma per i tifosi servono i trofei. In quegli anni a Siviglia quello che conta sono i trofei, e questo per ora mi manca a Roma. Io capisco perfettamente i tifosi, loro non vogliono parlare di numeri, vogliono vincere, questo è il mio lavoro. Dobbiamo costruire una società non per vincere, ma per farlo in forma continua. I tifosi non vogliono le promesse, vogliono i risultati. Li capisco, ma chiedo un po’ di fiducia: il mio obiettivo è quello di renderli felici seguendo i loro desideri“.

Monchi nel centro sportivo di Trigoria. Alla sua destra, il giornalista Gianluca Di Marzio

Poi, un focus su alcune operazioni. Sull’operazione Salah non ci sono rimpianti: “Rammarico? Alla fine possiamo arrivare a 50 milioni con i bonus, ma in quel momento avevamo bisogno di vendere e quella era un opzione importante. Poi i casi di Neymar e Mbappe hanno fatto saltare il mercato, ma in quel momento era necessario vendere“.
Lo spagnolo si sofferma poi sulla mancata cessione di Edin Dzeko al Chelsea dello scorso mese: “Noi abbiamo cominciato a parlare con loro per Emerson, poi loro hanno parlato di Edin. Gli abbiamo detto di fare un’offerta, noi abbiamo ascoltato e gli abbiamo fatto una richiesta. Loro non credo abbiano trovato mai un accordo con Dzeko. Noi volevamo vendere Emerson, non eravamo convinti di vendere invece Dzeko. Non hanno mai raggiunto la cifra che noi abbiamo richiesto“.
Dopotutto, la partenza del bosniaco avrebbe potuto giovare a Patrik Schick, che fino ad ora si è dimostrato poco incisivo: “Avremmo preso sicuramente un sostituto se lui fosse partito, ma è vero che la fiducia che abbiamo in Schick e Defrel è tanta, per questo eravamo tranquilli. Ma è sicuro che se Edin fosse partito avremmo preso un attaccante“. Proprio a proposito di Schick e Defrel, Monchi ha voluto rispondere ai tifosi che lo rimproverano di aver speso una fortuna: “Le cifre che si sanno non sono quelle. Fino ad oggi abbiamo speso 5 milioni per Schick e 6 per Defrel. Schick lo paghiamo in 5 anni e non sappiamo ancora quanto sarà. Non sono 42 milioni, non è così. In questo anno noi spenderemo 6 milioni per Schick, è un’operazione comoda per noi. Credo che Patrik diventerà fortissimo per la Roma“.

Infine, una battuta su alcuni temi caldi in casa Roma, come il rinnovo di Florenzi e la reiterata assenza dalla Capitale di Pallotta:Io e il presidente abbiamo un rapporto bellissimo. Alcune volte ho sentito che manca la sua presenza, mentre io gli dico di essere meno presente. Io parlo tutti i giorni con lui, lui è molto vicino alla squadra e alla società e ne è costantemente preoccupato. Lui ha in mente una Roma campione e così sarà. Florenzi? Rimarrà qui ancora per tanti anni“.

È chiaro che non sarà una cosa immediata per Monchi inserirsi a pieno nel mondo Roma: dopo aver speso una vita intera a Siviglia, dovrà lavorare molto prima di capire a pieno i meccanismi di questo ambiente. I presupposti, però ci sono tutti: è un ds stimato in tutto il mondo, capace di tenere alto il livello qualitativo della squadra senza mai perdere d’occhio il budget. Certo, il suo profilo rappresenta una discontinuità rispetto al passato, ma un elemento esterno come lui potrebbe segnare finalmente il famoso salto di qualità che troppo spesso la Roma ha mancato, perdendosi nei paradossi di una società dal sicuro potenziale ma dal suo mancato esercizio.

Gianluca Notari