Roma, cambio di proprietà all’orizzonte? Ecco chi è Dan Friedkin

Alice Dionisi – In una lettera ai tifosi scritta a maggio 2019 James Pallotta dichiarava che il club non era in vendita. A sei mesi di distanza, il proprietario della Roma, il quale aveva promesso che sarebbe stato più presente, non è più tornato nella Capitale e la sua gestione sembra essere arrivata al capolinea. Si fa avanti un altro statunitense e la Roma potrebbe passare nelle mani di Dan Friedkin. Ma chi è l’americano che sta cercando di insediarsi al posto di Pallotta? Definito “L’uomo Toyota”, il ricco magnate texano (di adozione, ma californiano di nascita) ha l’esclusiva per la distribuzione delle automobili giapponesi negli Stati del Golfo (Texas, Arkansas, Louisiana, Mississipi e Oklahoma). Ha assunto la guida del “The Friedkin Group” dopo la morte del padre Thomas, avvenuta nel 2017, dopo aver ricoperto la carica di amministratore delegato dal 1995 all’interno dell’azienda. Nella classifica stilata da Forbes, Dan è al 187º posto tra i 400 americani più ricchi, mentre nella lista mondiale dei miliardari nel 2020 ricopre il 504º posto, con un patrimonio di circa 4.1 miliardi di dollari. Laureato alla Georgetown University di Washington, è un grande appassionato di cinema, campo in cui ha investito: ha prodotto, tra le altre cose, “The Square” (candidato all’Oscar come miglior film straniero e vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2017) e nel 2019 si è cimentato come regista in “Lyrebird”, con un cameo in “Dunkirk”, il colossal diretto da Christopher Nolan nel 2017. Gli interessi di Dan Friedkin non finiscono qui, perché ha deciso di espandere il proprio business anche al settore alberghiero, con una catena di hotel di lusso, Auberge Resorts Collection, che vanta strutture negli Stati Uniti, in Messico, alle Fiji, in Grecia, Svizzera, Nicaragua e Costa Rica. L’americano ha ereditato dal papà Thomas anche la passione per l’aviazione, che lo ha portato a prendere la licenza di pilota, la quale gli ha permesso essere uno dei soli 9 civili statunitensi a poter prendere parte alla formazione dei voli acrobatici dell’Air Force. La collezione di vecchi aerei da guerra di Dan è la più grande d’America.

Alice Dionisi

Viaggiando nella Hall Of Fame: Bruno Conti, il marazico che non sognava la California

Pagine Romaniste (F. Belli) – A volte è solo una questione di distanza, che sia in chilometri o in miglia dipende solo dalla prospettiva. Una distanza indefinita per tutti, perché come diceva Hemingway dobbiamo abituarci all’idea che al più importante bivio della vita non c’è segnaletica. Per tutti ma non per Bruno Conti, che prestissimo nella vita si è trovato davanti a un incrocio con due segnali. Roma, 60 chilometri prendendo la Pontina. Santa Monica, 6200 miglia e un oceano in mezzo, ci si arriva in aereo. La scelta più facile è quella più vicina. Non tutti sognano la California, non Bruno, che sogna solo la Roma. Non lo convincono neanche le offerte dei dirigenti Yankees venuti a casa sua a Nettuno, da sempre una specie di colonia americana del litorale romano, per ingaggiarlo come giocatore di baseball. Neanche i ricordi di padre Federico che quando lo allenava da piccolo aveva intravisto in lui le doti del campione. Una palla, un campo verde, ma con una mazza che cambia tutto. Cambia tutto, ma non la sua ferma convinzione di giocare per la squadra che tifa fin da bambino, nello sport del fuorigioco. Scartato al primo provino dal mago Herrera, le cui gesta leggendarie vengono ancora ricordate nella Capitale, verrà comunque preso poco dopo.

Il mondiale di Marazico e la lotteria degli orrori

L’esordio è datato 10 febbraio 1974, in un anonimo 0-0 contro il Torino. Anonimo per tutti ma non per lui, che si lega al cuore quel momento con la semplicità e la genuinità di un bambino. E’ fatto così Bruno Conti, un campione buono con lo scherzo come anatema di vita. Nel 1982 è tra i protagonisti del miracolo azzurro nei mondiali di Spagna che gli faranno guadagnare il soprannome di Marazico, un po’ Maradona un po’ Zico. L’anno successivo il tricolore con la Roma è il coronamento di un sogno, un sogno che solo un eterno bambino come lui poteva immaginare. L’anno successivo in quella maledetta finale col Liverpool è lui il primo romanista a sbagliare alla lotteria dei rigori. Più che dei rigori, una lotteria degli orrori che lo tormenterà tutta la vita. Ed è dopo un’altra sconfitta in una finale europea, questa volta in Coppa Uefa contro l’Inter, che appende le scarpe al chiodo. Il giorno successivo all’Olimpico è prevista da settimane la sua cerimonia d’addio, e il “Sindaco di Roma” non si aspetta nessuno spettacolo sugli spalti. Troppo grande la delusione del giorno precedente, troppo profonda la ferita. Si sbaglia. Perché i tifosi riempiono lo stadio e omaggiano il loro beniamino come si deve, costringendolo alle lacrime. Perché la gratitudine è la memoria del cuore, e i tifosi della Roma non sono smemorati. – Pagine Romaniste (F. Belli)