La meglio gioventù – Alessio Romagnoli: 11 anni a Trigoria, ma il cuore è biancoceleste

(S. Valdarchi) – Alessio Romagnoli è al momento uno dei più forti difensori centrali italiani. Paragonato spesso a Nesta per qualità fisiche e tecniche, a 25 anni è il capitano del Milan ed ormai da qualche tempo nel giro della Nazionale. Nato nel 1995 ad Anzio, Romagnoli è cresciuto nelle giovanili della Roma, squadra con la quale ha esordito nel calcio professionistico. Sul suo futuro ci sono alcuni dubbi: società come Barcellona ed Inter hanno manifestato il loro interesse per il centrale, che ha un contratto in scadenza a giugno 2022. Prima di scoprire i prossimi passi della sua carriera però, concentriamoci sul suo passato, partendo proprio dagli anni a Trigoria.

Gli undici anni di Roma

Nato e cresciuto ad Anzio, sul litorale romano, Alessio Romagnoli viene notato dagli osservatori giallorossi molto presto e portato al Fulvio Bernardini nel 2003, a soli 8 anni. Con il club capitolino, il centrale compie tutta la trafila del calcio giovanile, arrivando in Primavera a 16 anni. Tuttavia, le presenze con la squadra di De Rossi sono poche (15), perché viste le sue doti, il classe ’95 viene messo fin da diciassettenne a disposizione della prima squadra. Stimato da Zdenek Zeman, Romagnoli trascorre tutta la stagione 2012/13 con la rosa guidata dal boemo, che in undici giorni, dall’11 al 22 dicembre 2012, lo fa esordire prima in Coppa Italia da titolare e poi in Serie A. L’esordio dal primo minuto nel massimo campionato, invece, arriva quando sulla panchina romanista è già arrivato Aurelio Andreazzoli, in occasione di un Roma-Genoa del 3 marzo 2013“Buona la prima” si direbbe in un set: il centrale quella sera trova anche il primo gol in Serie A, mettendo in rete di testa, su cross di Francesco Totti.
Nella stagione successiva, con Rudi Garcia come allenatore, Romagnoli colleziona 11 presenze in Serie A, prima di lasciare la Capitale nell’estate del 2015.

Il prestito alla Sampdoria

Nel luglio del 2015, Alessio Romagnoli viene acquistato dalla Sampdoria in prestito con diritto di riscatto e contro-riscatto in favore della Roma. L’annata in blucerchiato porta i risultati sperati, con il centrale di Anzio che acquisisce esperienza in un club importante di Serie A. A Genova, infatti, il ventenne gioca 30 partite in campionato. Da subito mostra anche la sua affinità con la porta avversaria, visti i due gol ed assist realizzati.

Da giovane a capitano, la crescita nel Milan

Nonostante l’ottimo rendimento, la Sampdoria sceglie di non riscattare Romagnoli, facendolo tornare a Roma. A Trigoria però, il centrale resta poche settimane, tempo di fare nuovamente le valigie e ripartire, questa volta destinazione Milano. Il Milan infatti decide di puntare pesantemente sul difensore, investendo 25 milioni di euro ed assicurandosi le sue prestazioni. Così, dall’estate del 2015 ad oggi, il prodotto del vivaio romanista difende i colori rossoneri. In annate non proprio gloriose per il Milan, Romagnoli ha rappresentato e rappresenta tuttora un punto di riferimento. Dalla scorsa stagione, inoltre, è stato nominato capitano del club a soli 23 anni, dopo il ritorno di Leonardo Bonucci alla Juventus. Queste le statistiche con i lombardi: 181 partite giocate, 7 gol ed un assist.

“Romagnoli, cuore laziale”

Passati pochi mesi dalla sua partenza per Milano, comincia a circolare sui social un selfie di Alessio Romagnoli con la maglia della Lazio. Tra lo stupore generale, la voce viene confermata: il difensore, nonostante le undici stagioni a Trigoria, è fin da bambino un tifoso della Lazio. Una passione che si manifesta il 28 febbraio del 2018, in occasione della semifinale di ritorno di Coppa Italia tra il Milan ed i biancocelesti all’Olimpico. Per decretare la finalista occorrono i rigori ed il tiro decisivo tocca proprio al centrale romano che non fallisce. Un gol pesante, ma Romagnoli non esulta e rimane impassibile davanti alla gioia dei compagni. Proprio per questo episodio, la Curva Nord nel successivo Lazio-Milan di campionato gli dedica uno striscione: “Romagnoli, cuore laziale”.

(S. Valdarchi)

Viaggiando nella Hall Of Fame: Cafu, il Pendolino tricolore

Pagine Romaniste (F. Belli) – 7 giugno 1970, Messico, Guadalajara. In un campo investito da un caldo feroce, l’Inghilterra campione del Mondo in carica sfida la formazione più forte di sempre, il Brasile di Pelè. Quel Brasile che in finale annienterà l’Italia 4-1, la stessa squadra reduce dalla partita del secolo con la Germania OvestQuel 7 giugno però del secolo c’è solo la parata: sull’1-0 Pelè riceve un cross laterale, stacca di testa e il portiere inglese Gordon Banks si inarca colpendo la palla il giusto per farla volare alta sopra la traversa. Nel frattempo, a migliaia di chilometri verso sud, a San Paolo un’infermiera cerca di velocizzare il parto di un bimbo: sta vedendo la partita e non vuole perdersi il finale. Quel bimbo è Marcos Evangelista de Moraes, meglio noto come CafuE’ un po’ un’abitudine tutta brasiliana avere un nome intellegibile e poi cambiarlo con un altro che non c’entra niente. Il “piccolo Pelè”, come lo chiamava quel 7 giugno l’infermiera, decide di usare lo pseudonimo di Cafu perché l’idolo del padre era Cafuringa, discreta ala destra del Fluminense. La sua storia si incrocia con quella della Roma grazie all’ottavo re Paulo Roberto Falcao, che negli anni ’90 suggerisce più volte ai giallorossi il suo nome e quello di un altro brasiliano, Zago. Viene acquistato nel 1997 all’inizio del ciclo Zeman. E’ un terzino destro caparbio, inarrestabile grazie alle sue incursioni fulminanti sulla fascia. Liedholm disse di lui: “Ha la stessa velocità di Rocca e la stessa capacità di portare la palla fino in fondo”. Inutile dirlo, è perfetto per il modulo boemo attacco-attacco-attacco. Ma sarà altrettanto perfetto per lo stile più concreto e meno spettacolare di Capello, come certifica la sua insostituibilità nella stagione dello scudetto.

La doppietta alla Fiorentina e il triplo sombrero a Nedved

I tifosi lo amano e lo chiamano “Pendolino” perché sulle fasce va come un treno, come quello brevettato dalla Fiat appunto. Due sono gli episodi più celebri del suo trascorso in giallorosso: il primo è la doppietta alla Fiorentina. Stagione 1999-2000, i viola di Batistuta in lotta scudetto e imbattuti da 20 mesi in casa affrontano la Roma. Il Pendolino diventa bomber e segna due gol uno più bello dell’altro. L’altro episodio, ovviamente, è datato 17 dicembre 2000. La Lazio campione d’Italia affronta la Roma, che si accinge a diventare campione da li a pochi mesi. Sullo 0-0 Cafu riceve sulla destra un passaggio alto di Zago che rischia di diventare preda di Nedved. C’è da trovare un modo per liberarsi di quella pressione ingombrante. Cosi con il solito estro tutto brasiliano si inventa il triplo sombrero senza far toccare mai palla a terra. Una giocata di una classe sopraffina che solo un piccolo Pelè poteva fare. Qualche anno dopo ci sarà anche un incomprensione. Il Pendolino vuole il rinnovo ma la Roma si impunta alle sue condizioni: è rottura. Il brasiliano dirà: “Non voglio fare la fine di Garrincha (ex leggenda brasiliana caduta in miseria, ndr), i soldi sono una cosa importante sopratutto a fine carriera”. Il brasiliano va al Milan e l’anno successivo, di ritorno all’Olimpico, viene subissato dai fischi. Una ferita che verrà definitivamente rimarginata col tempo. Sopratutto quando c’è di mezzo la morte di un figlio. A settembre è morto per un infarto il figlio Danilo, e tutti i romanisti si sono di nuovo stretti attorno al loro Pendolino. Perché quel treno, nel viaggiare lontano, ci ha fatto sognare. – Pagine Romaniste (F. Belli).

Veretout, il moto perpetuo a centrocampo ha bisogno di un ricambio

(Jacopo Venturi) – La Roma con Jordan Veretout a centrocampo ha trovato una certezza. Un giocatore che, alla lontana, per caratteristiche, ricorda quell’apporto che Radja Nainggolan riusciva a dare alla mediana giallorossa. Similmente al belga, infatti, il francese è un giocatore dinamico, capace di trasformare in pochi attimi un’azione difensiva in offensiva con uno strappo e ha anche un discreto senso del gol. Tutti questi aspetti erano mancati tremendamente alla Roma lo scorso anno e, ora che li ha ritrovati nell’ex Fiorentina, non li lascia più in panchina. Questo fattore però alla lunga potrebbe diventare problematico. Il numero 21 infatti, come abbiamo detto, basa la gran parte del suo gioco su una impressionante continuità fisica e di intensità. Questo tipo di calcio però richiede una cosa: delle pause. Il giocatore deve potersi ricaricare di tanto in tanto per poter rendere al meglio. Il problema sta nel fatto che la Roma non ha un vero sostituto di Veretout per caratteristiche e dunque il francese si trova costretto sempre in campo. Ed è inevitabile, tutto ciò inizia a pesare sulle sue prestazioni, a tratti meno lucide e incisive. Nel calciomercato invernale la Roma ha aggiunto Villar al lotto dei centrocampisti, ma lo spagnolo, per quanto sia un buon prospetto, sembra avere caratteristiche differenti rispetto al francese. La ricerca dunque per la Roma continua; nel frattempo, si spreme Veretout fino all’ultima goccia della sua grinta e del suo talento.

(Jacopo Venturi)

La meglio gioventù – Lorenzo Pellegrini: Di Francesco come mentore e la benedizione del 10

(S.Valdarchi) – “Francesco è Francesco e come lui non ne nascerà un altro. Totti è Totti, io sono Lorenzo. Cerco solo di essere il miglior Lorenzo da mettere a disposizione della Roma”. Così, qualche giorno fa, Lorenzo Pellegrini rispondeva a chi accennava ad un paragone tra lui e lo storico numero 10. Un parallelo spesso incentivato dalle dichiarazioni di Totti, che non ha mai perso occasione per elogiare le qualità del classe ’96, ma citando il centrocampista “Totti è Totti”, usarlo come termine di paragone può solo far male a colui il quale viene accostato a Sua Maestà. Fatta questa breve e doverosa introduzione, possiamo procedere con il racconto della storia di Lorenzo Pellegrini, ragazzo cresciuto al Fulvio Bernardini e che nelle ultime tre stagioni si è ritagliato un ruolo da protagonista nella Roma.

Primavera ed esordio in Serie A

La prima volta che Pellegrini è entrato nel cancello di Trigoria era il 2005, alla tenerà età di 9 anni. Considerato da sempre un ottimo prospetto, a 12 anni la sua carriera è stata messa a rischio. Durante il suo periodo nei Giovanissimi, allenati da Vincenzo Montella, gli fu diagnosticata un’aritmia cardiaca che gli tolse per un periodo l’idoneità sportiva. Rientrato l’allarme dopo 4 mesi, ha proseguito la sua trafila nelle giovanili romaniste, fino ad approdare nel 2013 in Primavera. Ha giocato nella formazione di De Rossi per due stagioni, indossando la fascia di capitano nel 2014/15. Due annate in cui il centrocampista ha raccolto 57 presenze e 13 gol, trovando anche il tempo per debuttare tra i professionisti.

Il 22 marzo del 2015, sul sintetico del Dino Manuzzi di Cesena, Lorenzo Pellegrini muove i suoi primi passi nella Serie A, entrando nel corso della ripresa al posto di Salih Ucan. L’esordio in una partita complicata e non vivace, risolta a pochi minuti dalla fine dal gol di De Rossi. Quella rimane l’unica sua presenza con la Roma, prima del suo definitivo ritorno a Trigoria nell’estate del 2017.

Il Sassuolo ed il rapporto con Di Francesco

Una volta terminato il campionato 2014/15, infatti, Pellegrini viene ceduto al Sassuolo (diritto di recompra in favore della Roma valido per due anni), squadra rivelazione della stagione precedente nella quale si è guadagnata la qualificazione in Europa League. Nello scacchiere tattico di Eusebio Di Francesco, trova spazio come mezzala nel centrocampo a tre ed in Emilia avviene la sua consacrazione nel massimo campionato. Oltre ad acquisire esperienza in mezzo al campo, migliora il suo rapporto con la porta, grazie agli inserimenti tra le linee caratteristici del modo di giocare di Di Francesco: 11 reti e 8 assist in maglia neroverde.

Il tecnico abruzzese rappresenta per il centrocampista classe ’96 un vero e proprio mentore, capace di tirargli fuori il meglio. Proprio per questo l’allenatore, una volta lasciato il Sassuolo ed approdato sulla panchina della Roma, pretende uno sforzo economico dalla società (circa 10 milioni di euro) per averlo in rosa. Lo spazio a Roma però si riduce, vista la concorrenza in quel ruolo di calciatori come Nainggolan e Strootman, ma Pellegrini è in grado di aspettare la giusta occasione per prendersi la scena.

Scusate le spalle

Capita spesso e volentieri che il destino della carriera di un calciatore venga modificato da una sola partita, da una giocata. Il percorso di Lorenzo Pellegrini con la Roma ha avuto la stessa sorte e il crocevia è rappresentato dal derby d’andata dello scorso campionato. Dopo un primo anno passato da sostituto eccellente, nella prima parte del 2018/19 il numero 7 non viene considerato come prima scelta da Di Francesco. Con l’inizio delle competizioni però, arrivano prestazioni grigie da parte della squadra, portando il tecnico abruzzese a passare dal 4-3-3 classico ad un 4-2-3-1. Una delle prime uscite in cui viene provato il nuovo schieramento è proprio contro la Lazio, nella stracittadina del 29 settembre. Nzonzi e De Rossi in mediana, con Pastore alle spalle di Dzeko. Il flaco gioca bene, ma a metà del primo tempo incappa in uno dei soliti problemi muscolari, che lo porta ad uscire anzitempo. Al suo posto, entra proprio Pellegrini, ma invece di un ritorno al centrocampo a 3, Di Francesco lo lancia come trequartista. Giocate di qualità ed un gol, di tacco, con tanto di esultanza polemica rivolta a chi in quel momento criticava il suo rendimento. Quel giorno d’inizio autunno, si è scoperto un nuovo Pellegrini, ottimo rifinitore negli ultimi 30 metri.

10 in campo, 7 sulle spalle

Tranne che per una breve parentesi ad inizio anno nella quale Fonseca lo aveva provato davanti alla difesa, scelta dovuta soprattutto al ritardo di condizione di Jordan Veretout, il centrocampista romano non ha più abbandonato il ruolo di trequartista, specializzandosi come assist-man. Oltre agli 11 assist, Pellegrini ha fornito ai compagni 40 passaggi chiave, rimanendo in cima a questa speciale classifica nella rosa della Roma, nonostante il lungo stop (circa due mesi) dovuto alla frattura al metatarso. Nel 4-2 rifilato dai giallorossi al Sassuolo, Lorenzo è stato senza alcun dubbio il migliore in campo, confezionando tre assist ai compagni, per i gol di Cristante, Mkhitaryan e Kluivert. Una gara che ha portato Francesco Totti a dichiarare: “Sembrava che avesse la maglia numero 10 sotto alla sua”. Ma a chi chiedeva se sognasse di indossarla un giorno, l’attuale vice-capitano romanista ha risposto: “Ho già la 7 di Bruno Conti, per il momento va bene così…”.

(S. Valdarchi)

Le imprese della Roma in Europa: il 3-0 al Barcellona, due anni dopo

Alice Dionisi – Col fiato sospeso per 14 minuti. Il 10 aprile di due anni fa, chi su un seggiolino dello Stadio Olimpico, chi davanti ad uno schermo, attendevamo il triplice fischio di Turpin. Qualche settimana prima, a sorteggi conclusi, sui quotidiani spagnoli si leggeva: “La fortuna sorride al Barça. Erano quelli che tutti volevano”, “Un bombon”. Il risultato dell’andata al Camp Nou sembrava dargli ragione, un 4-1 bugiardo che non rispecchiava l’impegno dei giallorossi in terra catalana. Complici la gestione arbitrale di Makkelie e le sfortunate deviazioni in porta di De Rossi e Manolas, la qualificazione per le semifinali di Champions League sembrava una pratica già archiviata. La giustizia divina, però, quel 10 aprile indossava una maglia rossa.

 

Di Francesco schiera la sua formazione: Alisson tra i pali, davanti al brasiliano la difesa a 3 composta da Fazio, Manolas e Juan Jesus, Kolarov e Florenzi sulle fasce. A centrocampo, insieme a capitan De Rossi ci sono Nainggolan e Strootman, davanti a loro Schick -al suo esordio in Champions League- e Dzeko. Valverde risponde con Ter Stegen in porta, Semedo, Piqué, Umtiti e Jordi Alba dietro a Sergi Roberto, Busquets, Rakitic e Iniesta, in attacco il duo Messi-Suarez. Nonostante i tre gol di scarto, i blaugrana non risparmiano i pezzi grossi. Gli spagnoli hanno perso solo una delle ultime 48 partite in stagione, ma per spaventare i tifosi giallorossi ci vuole molto di più: lo Stadio Olimpico è sold out. Chi tifa Roma è caratterizzato da un innato pessimismo, per il quale non pensi che certe cose possano accadere anche a te, ma quella sera ci abbiamo creduto tutti.

 

Fischio d’inizio. Il Barcellona all’inizio ci prova, un paio di giri di lancette ed iniziano già le prime palpitazioni. L’importante è non prendere gol. Alisson è sicuro e i blaugrana ci mettono del loro, senza mai essere incisivi. Scriverlo due anni dopo però è sicuramente più facile. Passano appena sei minuti e De Rossi indirizza con grande precisione il pallone che finisce sui piedi di Dzeko. Il bosniaco riesce a districarsi tra Umtiti e Jordi Alba, destro-sinistro e compie il primo atto dell’impresa giallorossa. 1-0 e l’Olimpico esplode, è un grido di gioia, ma con un fondo di timore. È ancora troppo presto. La Roma prende confidenza e continua a provarci. Schick sfiora il raddoppio, poi Dzeko mette alla prova i riflessi di Ter Stegen. Il portiere tedesco si fa trovare pronto, ma l’occhiata che lancia ai compagni di squadra sembra quasi dire “Ma devo fare tutto io?”. Tra un tentativo e l’altro, Turpin manda le squadre negli spogliatoi sull’uno a zero, la strada è ancora lunga.

I nomi dei protagonisti di questa storia sembrano essere stati scritti dal destino. Nel secondo tempo Piqué atterra Dzeko in area, calcio di rigore. Il bosniaco va dal capitano con un pallone che pesa come un macigno. Un bacio veloce sulla guancia, carico di tutte le nostre speranze. Daniele, pensaci tu. Fischio. Silenzio. Sembra una scena da film, tra il rallenty, i battiti rumorosi del cuore e il fiato sospeso. Ter Stegen intuisce da che parte buttarsi, ma la palla va in rete. Boato. De Rossi firma il 2-0, si fa perdonare l’autogol al Camp Nou e in quel momento la speranza diventa quasi certezza, è la nostra serata. Di Francesco dalla panchina invita tutti a mantenere la calma, ma l’atmosfera ormai è elettrizzante. Può succedere davvero, l’impossibile diventa man mano reale. Il Barcellona cerca di gestire il risultato, ma il pressing della Roma si fa sempre più costante, alla ricerca del terzo gol. Ter Stegen prova a salvare i suoi, nega il gol a Nainggolan ed El Shaarawy, entrato al posto del belga ad un quarto d’ora dalla fine. Mancano 8 minuti alla fine del tempo regolamentare, ma i giallorossi non mollano. 81’42’’ sul cronometro, Cengiz Under è pronto dal dischetto per il calcio d’angolo. Manolas è sul primo palo e stavolta non c’è nessun rallenty. Succede tutto velocemente, sono attimi di confusione. È dentro, sta succedendo davvero. Il greco corre sotto la tribuna, travolto dai compagni di squadra. L’emozione trova voce nei tifosi all’Olimpico, in quelli che gridano, in quelli che piangono, in chi si abbraccia e salta. La Roma trova il meritato 3-0, “The unthinkable unfolds before our eyes” commenta Peter Drury, l’impensabile che si svolge davanti agli occhi increduli del telecronista.

 

8 più recupero alla fine. 14 minuti in cui il Barcellona ci prova ma “Questa notte è ancora nostra”. Messi ci prova, ma per una sera la Pulce è davvero piccola e i lupi sono enormi, giganti. Nainggolan è in piedi a bordo campo, insieme a Gerson e Schick aspetta la fine della partita, il settore ospiti è incredibilmente silenzioso.
Nel pieno del sentimento romanista però, ci siamo aspettati anche un gol all’ultimo. Un gol immeritato e fatale, un gol pieno di romanismo. Quel gol però non è arrivato e al suo posto c’è stato Turpin. Il fischio più bello di sempre.
Un solo aggettivo: magica.
Alice Dionisi

Smalling: come prendersi la Roma in sei mesi

(Jacopo Venturi) – Quando Smalling è arrivato alla Roma, nessuno aveva dato grande credito all’operazione. Un giocatore con una buona carriera alle spalle e un’esperienza internazionale di tutto rispetto, ma non molto di più. In pochi potevano immaginare che l’inglese avrebbe letteralmente, e da subito, preso la difesa romanista sulle proprie spalle. Questo è successo quasi naturalmente, con la sua leadership silenziosa che si è imposta con prestazioni e carattere, con intelligenza e capacità fisiche, con tutto ciò che serve insomma per avere successo anche in un campionato storicamente difficile per i difensori anglosassoni come la Serie A. Ora la Roma non può più farne a meno e questo è evidente. Il livello delle sue prestazioni, come quelle di Mancini, è alto, anche se i giallorossi continuano a subire ancora troppe reti in relazione al buon livello della coppia centrale. Fonseca però ha trovato la quadra con questi due giocatori, astuti e complementari, al centro della difesa. Nonostante le ultime brutte prestazioni della squadra infatti, il ruolo centrale e inamovibile dei due negli schemi del portoghese non è in discussione. E c’è da aspettarsi che sarà così per diverso tempo.

(Jacopo Venturi)

Uefa: “Nessuna deadline per Champions ed Europa League, falso il termine del 3 agosto”

La Uefa ha diramato un comunicato per chiarire la questione relativa alle date ultime per Champions ed Europa League: «È stato riferito che il presidente UEFA, Aleksander Ceferin, ha dichiarato alla tedesca ZDF che la Champions dovrà terminare entro il 3 agosto. Questo non è vero. Il presidente è stato molto chiaro nel non fissare date precise per la fine della stagione.La UEFA sta attualmente analizzando tutte le opzioni per completare le stagioni nazionali ed europee con l’ECA e l’European Leagues nel gruppo di lavoro istituito il 17 marzo. La priorità principale di tutti i membri del gruppo di lavoro è preservare la salute pubblica. A seguito di ciò l’obiettivo è quello di trovare soluzioni sul calendario per completare tutte le competizioni. Attualmente, sono al vaglio opzioni per giocare partite a luglio e ad agosto, se necessario, a seconda delle date di ripresa e dell’autorizzazione delle autorità nazionali».

Serie A, ecco le date: si parte con i recuperi

La Lega di Serie A è sempre più convinta di poter riprendere a disputare il campionato in corso, evitando di dover assegnare il titolo a tavolino o peggio ancora lasciarlo vagante. Ciò che è emerso nella giornata di ieri durante la conference call con la Uefa è che si tenterà di tornare in campo domenica 24 maggio, addirittura dopo la data che lo stesso presidente Gravina aveva ipotizzato, ossia il 20 maggio. Per domani è  stato convocato un altro consiglio di Lega in cui si cercherà di fare il punto della situazione, mentre le squadre attendono di conoscere la data per ricominciare ad allenarsi. Si ipotizza di poter riprendere le attività tra il 15 e il 18 aprile, visto che per ora il Governo ha bloccato ogni attività sportiva solo fino al 13 aprile. Bisognerà però aspettare e valutare giorno per giorno l’evolversi della situazione.

Fonte: Il Messaggero

Le imprese della Roma in Europa: Barcellona, il precedente

Alice Dionisi – Quando nel 2018 la Roma si preparava ad affrontare il Barcellona nella sfida di ritorno dei quarti di finale di Champions League i più romantici, quelli che ci hanno sempre creduto, si sono detti “È già successo”. Il precedente c’era e risaliva al 2002, quando i giallorossi, allenati da Fabio Capello e reduci dalla vittoria di tricolore e Supercoppa italiana, affrontarono gli spagnoli nella massima competizione europea. I blaugrana uscirono dal campo dello Stadio Olimpico sconfitti 3-0, permettendo alla formazione di casa di conquistare momentaneamente la vetta del girone D, grazie al pareggio tra Galatasaray e Liverpool. Le parole di Chitarra Romana campeggiavano in curva sud, facendo da cornice ad una notte da campioni: “Sotto un manto di stelle Roma bella m’appare”.

DOPPIO GIRONE

La formula per la Champions League, allora, era quella del doppio girone. Nel primo la Roma affrontò il Real Madrid (che poi vinse la competizione per la nona volta), l’Anderlecht e il Lokomotiv Mosca, classificandosi seconda alle spalle dei Blancos. Nella seconda fase, che veniva disputata al posto degli ottavi di finale, le 16 squadre rimanenti si affrontavano in quattro ulteriori gironi e le migliori due di ciascuno accedevano ai quarti. I giallorossi pescarono il Barcellona, mai affrontato prima, il Liverpool e il Galatasaray, portando a casa tre pareggi nelle sfide di andata. Dopo l’1-1 al Camp Nou (gol di Panucci e Patrick Kluivert), 70.000 tifosi si presentarono allo Stadio Olimpico per sostenere i campioni in carica italiani. Gli 11 schierati da Capello furono Antonioli in porta, Zebina, Samuel, Panucci, Cafu, Emerson, Lima, Candela, in attacco Totti, Batistuta e Delvecchio, con la partecipazione anche di Montella, Tommasi e Cassano, subentrati nel secondo tempo. Contro di loro Reina, Pujol, De Boer, Christanval, Sergi, Gerard, Luis Enrique (che dieci anni dopo verrà accolto da allenatore in quello stesso stadio), Cocu, Motta, Rivaldo e Kluivert.

45 MINUTI

Durante la prima frazione di gioco entrambe le squadre mantennero un ritmo basso, senza mai essere letali. Quando l’arbitro danese Nielsen mise bocca al fischietto le formazioni andarono negli spogliatoi sullo 0-0. Durante l’intervallo iniziò a scaldarsi Vincenzo Montella, spinto dagli incitamenti del pubblico sugli spalti. Nella ripresa l’aeroplanino prese il posto di Marco Delvecchio e l’attacco della Roma iniziò ad essere più pericoloso, pressando la difesa spagnola. Emerson sbloccò il risultato al 61’, grazie alla deviazione fortuita di un tiro di Candela che spiazzò Reina tra i pali, “Ho avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto” commentò in seguito il brasiliano. Preso il via, la squadra continuò ad attaccare senza sosta. Soltanto un minuto dopo l’arbitro annullò un gol di Delvecchio che si trovava in fuorigioco, ma i giallorossi non si lasciarono abbattere. Al 74’ l’assist di Francesco Totti aprì al destro di Montella, 2-0. Il numero 10 continuò a provarci, sfiorando il palo in contropiede poco prima di lasciare il posto a Cassano. Il secco 3-0 finale venne firmato sullo scadere dei minuti regolamentari da Damiano Tommasi, entrato al posto di Batistuta, tra i cori ormai incontenibili dei tifosi. La Roma volò e, per una notte, poté godersi la vetta della classifica. Il sogno purtroppo si interruppe ben presto, nelle due gare restanti arrivarono un pareggio e una sconfitta per 2-0 in casa del Liverpool. Ad accedere ai quarti furono, insieme agli spagnoli, proprio i Reds, a pari punti con i giallorossi ma forti dello scontro diretto. Una presenza ricorrente quella degli inglesi, mai felice, ma allo stesso tempo mai in grado di cancellare la gioia di una vittoria, soprattutto un 3-0 al Barcellona.

Alice Dionisi

 

Viaggiando nella Hall Of Fame: Damiano Tommasi, l’anima candida che ha trasformato i fischi in applausi

Pagine Romaniste (F. Belli) – Per Capello in quella stagione è il giocatore più importante della squadra. Più di TottiMontella e Batistuta. La stagione, ovviamente, è quella del terzo scudetto e il soggetto è Damiano Tommasi. Meglio conosciuto come “Anima candida” per la sua estrema generosità e sincerità. Viene acquistato dalla Roma nel 1996, dopo esser stato uno dei protagonisti della promozione del Verona dalla B. Inizia tra gli applausi, che in breve si tramutano in fischi. È la stagione di Carlos Bianchi e quando le cose vanno male serve un capro espiatorioMite, silenzioso, sincero, tutte caratteristiche che lo portano a essere la perfetta vittima sacrificale di una stagione maledetta. Ma quei fischi tornano presto, di nuovo, applausi. Non per delle belle parole dispensate nel verso giusto, non è un comportamento da “anima candida” quello, ma grazie alle prestazioni sul campo. “Tutti sono utili, nessuno è indispensabile” dice un proverbio. Sbaglia: Damiano Tommasi era l’emblema dell’indispensabilità. Fino a quella maledetta amichevole d’inizio estate.

L’infortunio e il ritorno in quella ultima, indimenticabile, stagione d’addio

Era il 2004 e i giallorossi affrontano lo Stoke City. Un certo Gerry Taggart, che Massimo Marianella non esiterebbe a chiamare un criminale prestato al calcio, si rende protagonista di un contrasto violento. Cattivo, brutto, esagerato per una partita di campionato figurarsi per un’amichevole. Il responso è al limite del drammatico: rottura del crociato anteriore, rottura del crociato posteriore, del collaterale mediale esterno e interno, dei due menischi, infrazione dei condili e, dulcis in fundo, del piatto tibiale. Un elenco infinito che porta a una sola estrema conseguenza: appendere gli scarpini al chiodo. Ma non ci riesce. Non lui, non Damiano Tommasi. Si rimette in moto e 15 mesi dopo è ancora “lì, sempre lì. Lì nel mezzo a coprire certe zone e a giocare generoso” come direbbe Ligabue. Per di più gioca a 1500 euro al mese. Perché? L’anno precedente, quello dell’infortunio, era in scadenza e ha deciso di firmare al minimo sindacale pur di rimanere nella Capitale. Non da tutti in un calcio dove protagonisti sembrano sempre meno calciatori e più Paperon de’ Paperoni. Anzi da nessuno. Anni dopo ricorderà quella stagione come la più bella della sua carriera, più bella anche di quella del tricolore. La sua più grande sfida, vinta sul campo passo dopo passo. Poi andrà al Levante, al Qpr, in Cina e persino a San Marino. Ma il suo cuore resterà sempre lì, nello stesso posto dove tutto sembrava perduto dopo che le gambe gli avevano detto addio. – Pagine Romaniste (F. Belli).