La Roma travolge l’Istanbul Basaksehir del presidente Erdogan

Pagine Romaniste (F. Belli) – Tutto come da programma: termina con un sonoro 0-3 la gara tra Istanbul Basaksehir e Roma. Gli uomini di Fonseca hanno chiuso la gara già nel primo tempo grazie alle reti di Veretout, KluivertDzeko. Episodio spiacevole al 54’, quando dagli spalti dei tifosi di casa è stato scagliato un oggetto, che ha colpito Lorenzo Pellegrini. Il centrocampista è uscito temporaneamente dal campo, per poi rientrare dopo qualche minuto senza problemi particolari. Nota positiva: dal 72’ Chris Smalling, alla dodicesima partita con la maglia della Roma, ha indossato la fascia da capitano con la gentile concessione di Dzeko. Lo sguardo di Recep Tayyip Erdogan era cupo in tribuna mentre la Roma in campo prendeva a schiaffi il suo Basaksehir. Tre gol in un tempo, affondando con una facilità spiazzante la squadra di Istanbul tanto cara al Presidente, o meglio al Sultano. Del resto lui era in campo a giugno 2014 per la cerimonia di inaugurazione del club. Club che porta gli stessi colori del suo partito, l’Ak Parti. Lo 0-3 ad opera della Roma sembra quasi a una risposta sportiva alle gravi ingiustizie che hanno prodotto da settimane le scelte di Erdogan, con le offensive militari della Turchia contro il popolo curdo, al confine con la Siria. Un attacco che ha smosso le coscienze in occidente e sollevato un movimento trasversale che chiede all’Uefa di togliere a Istanbul l’organizzazione della finale di Champions League il prossimo 30 maggio. Ma limitandosi a qualcosa di più piccolo, la Roma potrebbe almeno aver tolto al Basaksehir la possibilità di passare il turno in Europa League. Tornando alle questioni di campo, questa l’analisi a fine gara di mister Fonseca: “Sono molto soddisfatto. Era molto importante vincere qui contro una squadra che per me è forte. Negli ultimi tempi avevano perso solo con noi. Abbiamo fatto un primo tempo molto buono in tutti i momenti di gioco. Nella ripresa abbiamo gestito la partita, sono soddisfatto. Dobbiamo vincere la prossima partita. Abbiamo tempo per pensare al Wolfsberger. Ora dobbiamo pensare al Verona che è una partita molto difficile. Prova di maturità? Si, abbiamo gestito bene la partita. Per me quello che è più importante è l’atteggiamento della squadra. Abbiamo fatto una partita con grande coraggio e ambizione. Dzeko? Dobbiamo trovare un equilibrio per lui. Devo dire che lui è importantissimo se vogliamo pressare più alto. Ha fatto un lavoro importante per la squadra. Ha fatto due gol in queste due partite e sono contento perché Dzeko lavora molto per la squadra“.

Francesco Belli

Viaggiando nella Hall Of Fame: Fulvio Bernardini, l’aristocratico testaccino che sfidò il Duce

Pagine Romaniste (F.Belli) – Un famoso motivatore diceva: “Sii saldo nelle tue decisioni ma rimani flessibile nel tuo approccio”. Cosi era Fulvio Bernardini, un uomo così flessibile da non poter essere spezzato in alcun modo. Un tuttofare, sia nella vita che in campo: dirigente, calciatore, impiegato sono solo alcune delle professioni che ha intrapreso negli anni. Di origine aristocratica ma con un amore profondo per il calcio, inizia a muovere i primi passi a grandi livelli da portiere nella Lazio, esordendo a 14 anni. Un età storica dove della Roma ancora non vi è traccia, se non nella Toponomastica. Firma coi capitolini nel 1928 e vi resterà per 11 anni, costituendo con Attilio Ferraris IV una coppia di centrocampo formidabile riconosciuta dai tifosi come la più “testaccina” di sempre. Fu anche il primo giocatore di una squadra non settentrionale a essere convocato in Nazionale, non disputando però i mondiali del 1934 e del 1938. Il perché l’ha spiegato il diretto interessato in un’intervista a Mario Sconcerti. L’aneddoto è legato a una vigilia di una gara della Nazionale, dove il ct azzurro Vittorio Pozzo avvicinandosi con faccia cupa gli disse: “Vede Bernardini, lei gioca attualmente in modo superiore; in modo perfetto dal punto di vista della prestazione individuale. Gli altri non possono arrivare alla concezione che lei ha del gioco e finiscono per trovarsi in soggezione, dovrei chiederle di giocare meno bene. Sacrificare lei o sacrificare tutti gli altri? Lei come si regolerebbe al mio posto?”. Insomma, un atipico caso di esclusione per manifesta superiorità.

Dopo il ritiro e il doppio a tennis contro “sua eccellenza”

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo è diventato reggente della FIGC in tempo di guerra e successivamente allenatore, compiendo due imprese sportive vincendo campionati con Fiorentina e BolognaChiamato anche il “dottore” per la laurea in scienze economiche, a lui è dedicato il centro sportivo della Roma a Trigoria. Rimase fuori dalla politica negli anni bui e difficili del fascismo anche se amava ricordare di quando, intasato nel traffico di Piazza Venezia, sorpassò furibondo una Astura entrandoci anche in contatto. Qualche ora dopo fu raggiunto a casa dalla polizia, scoprendo che a bordo di quella macchina c’era il Duce Benito Mussolini, che si stava dirigendo alla stazione Termini per un incontro col premier francese Lavai. Era difficile riottenere la patente ma alla fine il dottore è riuscito anche in quest’impresa. Fu però costretto a disputare un doppio a tennis a Villa Torlonia contro “sua eccellenza”, ovviamente perdendo. Fulvio Bernardini è stato sicuramente un genio del calcio, anche perché come diceva Schonberg la differenza tra il talento e il genio è che il primo impara, il secondo evolve. La vita del dottore, in ogni ambito, è stata una continua evoluzionePagine Romaniste (F.Belli)

Zaniolo, dove giochi? Un’analisi dei ruoli che può ricoprire il talento di Trigoria

(Jacopo Venturi) – In un anno e mezzo di Roma Nicolò Zaniolo ha sorpreso tutti. Il suo talento non era in dubbio, ma non in tanti pensavano potesse essere così cristallino da renderlo un giocatore forte, pronto ed immediatamente efficace. In questi mesi nella Capitale Zaniolo ha già avuto tre allenatori diversi, che lo hanno sfruttato in modi altrettanto diversi. Una delle caratteristiche più evidenti dell’ex Inter infatti è proprio la duttilità. Le sue qualità tecniche e fisiche gli permetterebbero di rivestire di fatto tutti i ruoli del centrocampo e dell’attacco; ci sono poi da considerare però le attitudini del giocatore, che sono senza dubbio più difensive che offensive e che dunque riducono le opzioni per lui. Le tre posizioni nelle quali si può vedere maggiormente Zaniolo sono dunque la mezz’ala, l’esterno destro d’attacco e il trequartista, con l’annessa variante della mezza punta. Per l’evoluzione che sta avendo il suo gioco il primo dei ruoli elencati non sembra essere quello sul quale il numero 22 giallorosso potrà costruire una carriera, sebbene, soprattutto in un sistema a trazione offensiva, abbia tutte le carte in regola per interpretarlo. È tra le altre due opzioni che Zaniolo sta vedendo sempre di più svilupparsi il suo gioco. Ranieri è stato il primo a vederlo continuativamente come esterno, ma Fonseca sembrava di un altro avviso fino a qualche settimana fa, avendo schierato nelle prime uscite il giovane sempre sulla trequarti. Poi, complici anche gli infortuni, lo ha spostato sulla fascia destra, trovando un giocatore capace di giocare più vicino a Dzeko nei momenti di necessità e di dominare la corsia quando ha spazio. Il grande vantaggio di Zaniolo rispetto a un esterno classico, come possono essere Under e Kluivert, è proprio la fisicità, che, se combinata con la buona rapidità di base, lo rende un giocatore difficilmente contenibile. Con la rosa al completo forse lo ritroveremo trequartista puro, ma sembra che l’esperimento della fascia stia diventando qualcosa di più e che il numero 22 abbia trovato la sua posizione stabile.

(Jacopo Venturi)

Roma, tris al Brescia: Smalling e Mancini si vestono da bomber

(Keivan Karimi) – La sosta per le Nazionali fa bene alla Roma: i giallorossi tornano subito alla vittoria dopo il k.o. a sorpresa subito in casa del Parma due settimane fa.

Una domenica piovosa ma allegra per la squadra di Paulo Fonseca, che ospitava il Brescia fanalino di coda. Un match sulla carta impari che però nasconde qualche insidia, mostrata soprattutto in un primo tempo teso e compassato.

La Roma ritrova Lorenzo Pellegrini dal 1′ minuto, ma fa fatica a costruire azioni importanti contro un Brescia ben messo in difesa. Anzi, è Pau Lopez nel primo tempo a salvare la sua porta sul gran tiro di Ndoj, mentre dall’altra parte Kolarov sonnecchia su un pallone d’oro servito da Zaniolo.

Il primo tempo è tutto qui, ma nella ripresa i padroni di casa mettono il piede sull’acceleratore, sfruttando finalmente le palle inattive. Da un calcio d’angolo al 49′ Smalling stacca alla grande, il suo colpo di testa deviato da Cistana spiazza il portiere Joronen e sblocca il match.

Un gol fortunato ma importante che cambia l’andamento della partita: la Roma domina e il Brescia crolla, soprattutto quando Smalling sforna un assist geniale per Mancini, che in proiezione offensiva inventa una palombella perfetta per il 2-2-0 romanista.

Non è finita qui: dopo una rete di Zaniolo cancellata dal VAR, la Roma chiude il conto col ritorno al gol di Dzeko. Ancora Smalling dominatore su corner, stavolta è il bosniaco però a deviare per ultimo la sfera in rete. 3-0 finale e giallorossi che risalgono al quarto posto, allungando su Atalanta e Napoli.

Il tabellino del match:

ROMA: Pau Lopez; Florenzi (Santon), Mancini, Smalling, Kolarov; Diawara, Veretout; Zaniolo (Perotti), Pellegrini (Under), Kluivert; Dzeko. All: Fonseca.

BRESCIA: Joronen; Sabelli, Cistana, Chancellor, Martella; Bisoli (Zhmral), Tonali, Ndoj (Morosini), Romulo; Torregrossa (Ayé), Donnarumma. All: Grosso.

Arbitro: Di Bello di Brindisi.

Marcatori: 49′ Smalling, 57′ Mancini, 67′ Dzeko.

SERIE A – Cade l’Atalanta, zoppica il Napoli: occasione per la Roma

(Keivan Karimi) – Dopo la sosta per le Nazionali, riparte finalmente il campionato di Serie A, con un sabato ricchissimo. Nelle prime due gare odierne si registra la vittoria della Juventus, che si mantiene capolista battendo 3-1 l’Atalanta, e il pari tra Milan e Napoli.

Due risultati ottimi per la corsa all’Europa della Roma di Paulo Fonseca, impegnata domani alle ore 15 contro il Brescia. La sconfitta degli orobici in casa contro i campioni d’Italia e il pareggio 1-1 tra le due rivali a San Siro sembrano spianare la strada ai giallorossi nella lotta al quarto posto.

L’Atalanta non ha la stessa continuità dell’anno scorso e resta a quota 22 punti, mentre il Napoli non esce ancora dalla crisi salendo brevemente a 20. Milan invece lontanissimo dalle zone di alta classifica: solo 14 i punti raccolti dai rossoneri nelle prime tredici giornate.

La Roma domani all’Olimpico affronterà una squadra con cui non vince, in Serie A, da ben 16 anni: l’ultima volta era il settembre 2003, quando con un perentorio 5-0 la squadra di Capello affondò l’allora spaesato Brescia.

Domani l’obiettivo tre punti è fondamentale: a Fonseca il compito di lasciare in disparte le voci su un nuovo assetto societario (vedi news su Friedkin) e sopperire alle assenze di Pastore, Spinazzola e Mkhitaryan.

Le probabili formazioni di Roma-Brescia:

ROMA (4-2-3-1): Pau Lopez; Florenzi, Mancini, Smalling, Kolarov; Diawara, Veretout; Under, Zaniolo, Kluivert; Dzeko.

BRESCIA (4-3-1-2): Joronen; Sabelli, Cistana, Gastaldello, Martella; Bisoli, Tonali, Romulo; Spalek; Donnarumma, Matri.

 

Da Ridley Scott alla Toyota: chi è Dan Friedkin, il nuovo investitore in casa Roma

(Keivan Karimi) – I tifosi della Roma fremono, non tanto per le notizie che arrivano dal campo bensì da quelle riguardanti la sfera societaria.

E’ ufficiale la manifestazione di interesse di Dan Friedkin e del suo gruppo d’affari alle quote della A.S. Roma. Un comunicato pubblicato ieri dal club giallorosso conferma l’apertura dei dialoghi. Secondo i ben informati il gruppo Friedkin, tramite l’advisor Goldman Sachs, starebbe preparando un investimento da 150 milioni di euro per finanziare l’aumento di capitale della Roma e per diventare a tutti gli effetti socio di minoranza di James Pallotta.

Ma chi è Dan Friedkin? Un nome poco noto in Italia ma di assoluto spicco nel mondo degli affari statunitensi. Figlio del magnate Peter, il giovane Dan è nato in California ma cresciuto in Texas, dove ha iniziato a lavorare nella holding di famiglia, specializzata nel settore automobilistico. Friedkin è il ‘re’ della Toyota nel mercato americano, ma non solo: ha investito nell’alberghiero, costruendo hotel di lusso in tutto lo stato, e anche nelle produzioni cinematografiche. Non a caso ha collaborato al fianco di registi del calibro di Ridley ScottClint Eastwood, rientrando in un giro d’affari ricco e decisamente prestigioso.

I numeri parlano per lui: Friedkin secondo il magazine economico Forbes è il 187° uomo più ricco d’America ed il 504° più ricco al mondo. Il suo patrimonio, in ampia ascesa dopo gli ultimi investimenti, si aggira sui 4,5 miliardi di dollari, quattro volte superiore a quello di Pallotta. Dati che sembrano indicare come Friedkin non possa essere interessato solo ad una quota di minoranza della Roma, ma che dopo attente valutazioni potrebbe tentare la scalata al club, proponendo un nuovo progetto finanziario, strutturale e sportivo.

Roma, cambio di proprietà all’orizzonte? Ecco chi è Dan Friedkin

Alice Dionisi – In una lettera ai tifosi scritta a maggio 2019 James Pallotta dichiarava che il club non era in vendita. A sei mesi di distanza, il proprietario della Roma, il quale aveva promesso che sarebbe stato più presente, non è più tornato nella Capitale e la sua gestione sembra essere arrivata al capolinea. Si fa avanti un altro statunitense e la Roma potrebbe passare nelle mani di Dan Friedkin. Ma chi è l’americano che sta cercando di insediarsi al posto di Pallotta? Definito “L’uomo Toyota”, il ricco magnate texano (di adozione, ma californiano di nascita) ha l’esclusiva per la distribuzione delle automobili giapponesi negli Stati del Golfo (Texas, Arkansas, Louisiana, Mississipi e Oklahoma). Ha assunto la guida del “The Friedkin Group” dopo la morte del padre Thomas, avvenuta nel 2017, dopo aver ricoperto la carica di amministratore delegato dal 1995 all’interno dell’azienda. Nella classifica stilata da Forbes, Dan è al 187º posto tra i 400 americani più ricchi, mentre nella lista mondiale dei miliardari nel 2020 ricopre il 504º posto, con un patrimonio di circa 4.1 miliardi di dollari. Laureato alla Georgetown University di Washington, è un grande appassionato di cinema, campo in cui ha investito: ha prodotto, tra le altre cose, “The Square” (candidato all’Oscar come miglior film straniero e vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2017) e nel 2019 si è cimentato come regista in “Lyrebird”, con un cameo in “Dunkirk”, il colossal diretto da Christopher Nolan nel 2017. Gli interessi di Dan Friedkin non finiscono qui, perché ha deciso di espandere il proprio business anche al settore alberghiero, con una catena di hotel di lusso, Auberge Resorts Collection, che vanta strutture negli Stati Uniti, in Messico, alle Fiji, in Grecia, Svizzera, Nicaragua e Costa Rica. L’americano ha ereditato dal papà Thomas anche la passione per l’aviazione, che lo ha portato a prendere la licenza di pilota, la quale gli ha permesso essere uno dei soli 9 civili statunitensi a poter prendere parte alla formazione dei voli acrobatici dell’Air Force. La collezione di vecchi aerei da guerra di Dan è la più grande d’America.

Alice Dionisi

Viaggiando nella Hall Of Fame: Bruno Conti, il marazico che non sognava la California

Pagine Romaniste (F. Belli) – A volte è solo una questione di distanza, che sia in chilometri o in miglia dipende solo dalla prospettiva. Una distanza indefinita per tutti, perché come diceva Hemingway dobbiamo abituarci all’idea che al più importante bivio della vita non c’è segnaletica. Per tutti ma non per Bruno Conti, che prestissimo nella vita si è trovato davanti a un incrocio con due segnali. Roma, 60 chilometri prendendo la Pontina. Santa Monica, 6200 miglia e un oceano in mezzo, ci si arriva in aereo. La scelta più facile è quella più vicina. Non tutti sognano la California, non Bruno, che sogna solo la Roma. Non lo convincono neanche le offerte dei dirigenti Yankees venuti a casa sua a Nettuno, da sempre una specie di colonia americana del litorale romano, per ingaggiarlo come giocatore di baseball. Neanche i ricordi di padre Federico che quando lo allenava da piccolo aveva intravisto in lui le doti del campione. Una palla, un campo verde, ma con una mazza che cambia tutto. Cambia tutto, ma non la sua ferma convinzione di giocare per la squadra che tifa fin da bambino, nello sport del fuorigioco. Scartato al primo provino dal mago Herrera, le cui gesta leggendarie vengono ancora ricordate nella Capitale, verrà comunque preso poco dopo.

Il mondiale di Marazico e la lotteria degli orrori

L’esordio è datato 10 febbraio 1974, in un anonimo 0-0 contro il Torino. Anonimo per tutti ma non per lui, che si lega al cuore quel momento con la semplicità e la genuinità di un bambino. E’ fatto così Bruno Conti, un campione buono con lo scherzo come anatema di vita. Nel 1982 è tra i protagonisti del miracolo azzurro nei mondiali di Spagna che gli faranno guadagnare il soprannome di Marazico, un po’ Maradona un po’ Zico. L’anno successivo il tricolore con la Roma è il coronamento di un sogno, un sogno che solo un eterno bambino come lui poteva immaginare. L’anno successivo in quella maledetta finale col Liverpool è lui il primo romanista a sbagliare alla lotteria dei rigori. Più che dei rigori, una lotteria degli orrori che lo tormenterà tutta la vita. Ed è dopo un’altra sconfitta in una finale europea, questa volta in Coppa Uefa contro l’Inter, che appende le scarpe al chiodo. Il giorno successivo all’Olimpico è prevista da settimane la sua cerimonia d’addio, e il “Sindaco di Roma” non si aspetta nessuno spettacolo sugli spalti. Troppo grande la delusione del giorno precedente, troppo profonda la ferita. Si sbaglia. Perché i tifosi riempiono lo stadio e omaggiano il loro beniamino come si deve, costringendolo alle lacrime. Perché la gratitudine è la memoria del cuore, e i tifosi della Roma non sono smemorati. – Pagine Romaniste (F. Belli)

Emergenza finita? Come cambia la Roma dopo la sosta

(Keivan Karimi) – Sembrano lontani i tempi in cui dalle parti di Trigoria si invocava al malocchio, alla sfortuna, alla malasorte. La Roma finalmente può scacciare l’incubo dell’emergenza totale e tornare ad avere una rosa quasi al completo.

Paulo Fonseca avrà finalmente ampia scelta alla ripresa del campionato, quando con Roma-Brescia riprenderà a disputarsi la Serie A dopo la sosta per le Nazionali numero tre.

Gli unici giallorossi che resteranno ancora ai box sono i lungodegenti Zappacosta, Cristante e Kalinic, tutti probabilmente destinati a rientrare non prima del nuovo anno solare. Ma le buone notizie arrivano principalmente da coloro che sono tornati in gruppo in queste settimane: Pellegrini e Mkhitaryan sono ormai a disposizione, idem per quanto riguarda i vari Spinazzola, Perotti, Diawara e Under, tutti acciaccati nel recente periodo.

Mister Fonseca può varare una Roma completamente diversa da quella d’emergenza vista di recente; innanzitutto Mancini tornerà in difesa, Diawara e Pellegrini ambiscono subito ad un posto da titolare e Under con Mkhitaryan torneranno a pieno ritmo nelle rotazioni offensive. L’unico cruccio resta Edin Dzeko: senza alternative valide, il centravanti bosniaco sembra non potersi permettere alcuna pausa, neanche con la sua Bosnia.

La probabile formazione anti-Brescia:

ROMA (4-2-3-1): Pau Lopez; Spinazzola, Mancini, Smalling, Kolarov; Diawara, Veretout; Zaniolo, Pastore (Pellegrini), Kluivert (Mkhitaryan); Dzeko.

Viaggiando nella Hall of Fame: Gabriel Omar Batistuta, il leone tricolore

Pagine Romaniste (F. Belli) – E’ meglio vivere un giorno da leone che cent’anni da pecora”, dice un proverbio. A Roma un leone, o meglio un re leone, l’abbiamo avuto. E il suo ruggito è stato imponente: si tratta di Gabriel Omar Batistuta. Non è sempre stato il predatore più famoso della savana però: da ragazzo era chiamato “el gordo“, il grasso, per il peso sopra la media. Quando inizierà a correre sui campi in erba si trasformerà nel “camion”, non molto lusinghiero anche questo. Il suo avvicinamento al calcio, soprannomi a parte, è stato una marcia trionfale: prima al Newells Old Boys con Bielsa, poi al River Plate e infine al Boca Juniors. Nel 1991 si trasferisce a Firenze e, superando l’iniziale scetticismo, legherà per sempre la sua vita ai colori viola: “Scrivete pure che farò sempre il tifo per la Fiorentina. E per chi altro lo dovrei fare?”, dirà qualche anno più tardi. Le assenze però lasciano segni e solchi che nessuna aggiunta può colmare, e quella di un trofeo importante pesa come un macigno. Ed è qui che il suo destino entra in congiunzione con quello della Roma, che nell’estate del 2000 si trova a dover gestire un ambiente in subbuglio per lo scudetto appena vinto dalla Lazio. Franco Sensi spende un patrimonio sul mercato e solo per l’argentino circa 70 miliardi di lire. Sarà una stagione leggendaria che culminerà con lo scudetto che mancava nella Capitale dall’era di Falcao meravigliao. E’ anche vero però che i gol non si contano ma si pesano. E i suoi gol pesano, e pure tanto, su quel tricolore.

L’inizio della fine: lo scudetto e l’avvicinarsi della malattia

La partita più iconica è forse quella contro la sua Fiorentina dell’ottava giornata d’andata. La partita è bloccata sullo 0-0 e nulla sembra poter cambiare lo stato delle cose. E’ proprio il re leone però che a pochi minuti dalla fine sblocca il match con un gol meraviglioso da fuori area, scoppiando in un pianto liberatorio. Un Orfeo dei tempi moderni, che si è girato volontariamente verso la sua amata Euridice ben conscio del fatto che non si può cambiare il passato, ma tanto vale aprirsi la strada per un nuovo roseo futuro. Insieme alle gioie sul campo e alle mitragliate in panchina però, cosi amava esultare, si fa strada anche un male oscuro, che lo tormenterà negli anni a venire. Inizia con un piccolo dolore alle caviglie, curato già nell’anno dello scudetto con continue infiltrazioni come anche testimoniato da diversi compagni. Si tratta della cartilagine, Gabriel non ne ha e praticamente poggia i suoi oltre ottanta chili sulle ossa. Un dolore che col tempo cresce, fino a diventare un vero e proprio tormento insopportabile: “Ero così disperato che sono andato dal medico per dirgli che doveva amputarmi le gambe. Mi ha risposto che ero pazzo, ma ho insistito. Sentivo un dolore che non riuscivo a descrivere”. Anche per questo dopo quella magica stagione il re leone smette di ruggire, e dopo poco si ritira. E’ finita così la carriera di Gabriel Omar Batistuta, come era iniziata, tra mille avversità. Ma proprio chi non affronta le avversità non conosce la propria forza. – Pagine Romaniste (F. Belli)